Il freno dell’epatite
La somministrazione di anticorpi anti PD-1 potrebbe essere la chiave per combattere l’infezione. Lo sostiene una ricerca americana del Nationwide Children Hospital e della Emory University che prende spunto dalle tecniche dell’immunoterapia dei tumori.

di Agnese Codignola
La proteina PD-1 (da Programmed cell Death 1) agisce da blocco del sistema immunitario una volta che la reazione contro il nemico è terminata. Nei tumori però, come nelle infezioni croniche, la sua attività viene alterata e il sistema immunitario continua a comportarsi come dopo un’offesa acuta, cioè continua a produrre linfociti T specifici fino a esaurire la propria capacità di nuova sintesi, in un fenomeno chiamato "T-cell exhaustion".Per questo si pensa che bloccare la PD-1 possa ristabilire un equilibrio utile ad avere la giusta reattività.
Nei tumori l’ipotesi è fondata e ha già portato all’approvazione di un anticorpo contro il melanoma. Ora l’idea viene verificata nelle infezioni virali, e sembra funzionare. Dai dati sperimentali emerge infatti che gli animali trattati con anticorpi anti PD-1 tornano ad avere un numero di linfociti T normale, e che la funzionalità di questi elementi fondamentali per la giusta reazione è ottimale; in questo modo, gli animali infettati recuperano - almeno teoricamente - la capacità di difendersi dall’infezione.
Come sottolineato dagli autori su PNAS, se i risultati saranno confermati, lo stesso approccio potrebbe rivelarsi utile anche contro il virus dell’epatite B e contro altre infezioni che tendono a cronicizzare.
Data ultimo aggiornamento 15 novembre 2014
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