NUOVI DATI
Contrordine: l’anifrolumab ha effetti positivi contro il lupus

di Agnese Codignola
I malati di lupus eritematoso sistemico (in sigla, LES) possono nutrire una speranza in più, grazie ai risultati di uno studio condotto dagli immunologi di un gruppo collaborativo internazionale chiamato TULIP 2, che sono stati pubblicati dal New England Journal of Medicine: un anticorpo monoclonale, chiamato anifrolumab, sembra infatti esercitare una qualche azione positiva su questa patologia (gli anticorpi monoclonaliGli anticorpi monoclonali sono anticorpi del tutto simili a quelli che il sistema immunitario produce contro i “nemici” (batteri, virus e altro ancora), ma non sono presenti in modo naturale nel nostro organismo. Vengono creati in laboratorio, grazie a tecniche di ingegneria genetica, e sono mirati contro un preciso bersaglio della malattia, identificato dai ricercatori: per esempio, nel caso del Covid, contro la proteina Spike, utilizzata dal coronavirus per entrare nelle cellule e infettarle. Una volta prodotti, vengono fatti moltiplicare in laboratorio, identici, in un numero grandissimo di copie, o di cloni (per questo vengono chiamati monoclonali), e poi immessi nell’organismo del paziente, in genere tramite infusione (endovena)., lo ricordiamo, vengono creati in laboratorio, grazie a tecniche di ingegneria genetica, e sono mirati contro un preciso bersaglio della malattia, identificato dai ricercatori).
L’anifrolumab è diretto contro il recettore di una delle molecole più coinvolte nel LES, l’interferone di tipo I (una proteina - o meglio sarebbe dire una famiglia di proteine - prodotta dalle cellule per proteggersi dall’attacco dei virus e di altri “nemici”). Per funzionare, l’interferone deve però legarsi a particolari molecole presenti sulla parete delle cellule stesse, chiamate recettori, che innescano una serie di azioni e reazioni (fra cui la produzione di altre proteine che permettono di difendersi dagli agenti infettivi e di mobilitare il sistema immunitario). Ebbene, semplificando molto possiamo dire che l’anifrolumab blocca questi recettori, e in tal modo impedisce all’interferone di attivarsi e di innescare un’esagerata azione pro-infiammatoria, tipica del LES.
In passato i ricercatori del gruppo TULIP 2 avevano pubblicato risultati abbastanza deludenti ottenuti con l’anifrolumab, ma nel lavoro attuale viene proposta una nuova interpretazione di dati originariamente considerati secondari, che sembra modificare la prospettiva.
Nell’ambito dello studio 180 malati hanno ricevuto l’anticorpo monoclonale ogni quattro settimane, per un periodo complessivo di 48 settimane, e 182 hanno ricevuto, invece, un placebo. Alla fine del trattamento e dopo ulteriori quattro settimane, cioè dopo un anno dall’inizio del protocollo, tutti sono stati valutati in base a una scala specifica chiamata “British Isles Lupus Assessment Group–based Composite Lupus Assessment” (BICLA), che analizza i danni infiammatori presenti in nove organi (i più colpiti dalla malattia) e considera positive le situazioni cliniche in cui non vi siano peggioramenti, verificando diversi parametri compresa la frequenza delle crisi, la necessità di diversi tipi di farmaci, le manifestazioni cutanee della malattia e così via.
Alla fine è emerso che il 47,8% dei pazienti trattati aveva avuto una risposta BICLA (una risposta positiva alla malattia, sia pure in vari gradi), contro il 31,5% di coloro cui era stato somministrato il placebo. L’evento negativo più marcato è stata la maggiore incidenza di infezioni da herpes zoster, tipica di questi malati, nelle persone trattate con l’anticorpo.
Nell’insieme, quindi, l’anifrolumab sembra in grado di migliorare l’andamento del LES, anche se bisognerà trovare altre conferme e chiarire ogni aspetto prima di poterlo proporre come terapia.
Data ultimo aggiornamento 10 febbraio 2020
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