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Una proteina "immunologica"
può innescare l’Alzheimer?

di Agnese Codignola

Il sistema immunitario potrebbe giocare un ruolo molto più importante del previsto nell’insorgenza della demenza di Alzheimer. Lo suggerisce uno studio pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience nell’ambito del quale, per la prima volta, i ricercatori del Brigham and Women’s Hospital di Boston (Stati Uniti) hanno dimostrato l’esistenza di un nesso tra una proteina importante per il sistema immunitario, la CD33, e un’altra proteina coinvolta nell’Alzheimer, chiamata TREM2, sulla quale si stanno concentrando molti studi per nuove terapie.

Da tempo i ricercatori sanno - grazie a una serie di studi genetici condotti soprattutto sulla popolazione islandese - che variazioni della proteina TREM2 sono associate alla demenza, ma finora non si era mai capito molto di più. Adesso, analizzando il DNA e alcune proteine del sistema immunitario di un centinaio di giovani sani, e di una sessantina di persone anziane, i ricercatori hanno scoperto - e riferito su Nature Neuroscience - che l’innalzamento della concentrazione di TREM2 (legato a un aumento del rischio di Alzheimer) va di pari passo con l’aumento della CD33, una proteina tipica dei processi infiammatori, prodotta dal sistema immunitario.

Insomma, questi dati lasciano pensare che i processi infiammatori cronici siano collegati all’insorgenza dell’Alzheimer stesso, e che l’origine di questa malattia vada cercata anche in una reazione immunitaria scorretta, innescata da un aumento della proteina CD33.

Gli studi continueranno, e tra gli obiettivi vi è anche il tentativo di capire se i dosaggi di CD33 e di TREM2 possano o meno essere utilizzati per la diagnosi della malattia, per la quale si cercano strumenti affidabili da decenni.

Data ultimo aggiornamento 7 ottobre 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: 
Nuova immunoterapia allo studio contro la malattia di Alzheimer
Anticorpi, una possibile arma contro Alzheimer e Parkinson


Tags: malattia di Alzheimer



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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