INFIAMMAZIONI
Un "eccesso" di virus dietro la malattia di Crohn
I ricercatori della Washington University hanno scoperto che le persone colpite dalle infiammazioni croniche intestinali hanno una "varietà" di virus molto superiore, rispetto alla norma. Nuovi tasselli per terapie più efficaci

di Emanuela Di Pasqua
Dolori addominali, dissenteria, vomito: sono i sintomi che spesso annunciano una malattia infiammatoria cronica dell’intestino, come la colite ulcerosa o la malattia di Crohn. Le cosiddette MICI (malattie infiammatorie croniche dell’intestino) sono allo studio dei ricercatori, ancora dubbiosi sulla loro patogenesi. In particolare la malattia di Crohn continua a far discutere: diffusa soprattutto tra i giovani, nel segmento anagrafico tra i 16 e i 35 anni (ma ormai inizia a comparire con una certa frequenza anche nella popolazione più matura), questa patologia chiama in causa molte variabili e sempre più spesso viene riferita a un’alterata composizione della flora intestinale (o microbiota, per usare un termine più tecnico). Sicuramente nel morbo di Crohn ci sono anomalie del sistema immunitario, che, però, non sono ancora ben definite. Così, di continuo si affacciano nuove ipotesi. L’ultima è della Washington University School of Medicine di St.Louis (Stati Uniti), che in uno studio pubblicato dalla rivista Cell porta alla luce un possibile, e inatteso collegamento tra i virus intestinali e l’insorgere del Crohn, e anche della colite ulcerosa. I ricercatori statunitensi hanno osservato, in particolare, che i pazienti affetti da queste malattie presentano una maggiore variabilità della popolazione virale all’interno del sistema digerente, rispetto alle persone sane. E questo potrebbe essere uno dei fattori collegati alla risposta sbagliata del sistema immunitario, che aggredisce le pareti interne dell’intestino.
LA MALATTIA DI CROHN - Il Crohn è un’infiammazione cronica che può colpire un tratto qualsiasi dell’apparato gastrointestinale (a differenza della colite ulcerosa, che è limitata al retto e al colon). Sebbene le sue cause non siano ancora del tutto appurate, viene considerato una malattia autoimmune, ma è probabile che dipenda anche da fattori genetici, alimentari, ambientali e microbici. Spesso nei pazienti colpiti dalla patologia sono state osservate mutazioni di più di 140 geni, molti dei quali hanno un ruolo fondamentale nella difesa immunitaria, circostanza che accrediterebbe come probabile causa del morbo un mix tra genetica, appunto, e fattori ambientali.
E’ risaputo che il morbo di Crohn ha una maggiore incidenza nelle zone altamente industrializzate, e molti ritengono che la causa sia in qualche modo collegata al regime alimentare di questi Paesi.
Diversi studi hanno rilevato, inoltre, una connessione tra la malattia e un cospicuo apporto di proteine animali, e anche il fumo è sospettato di essere un agente in grado di riattivare il morbo. Lo studio della Washington University aggiunge un tassello alle varie spiegazioni, sottolineando la possibilità di un coinvolgimento involontario della flora batterica e ipotizzando che un’elevata concentrazione intestinale di determinati virus (in particolare i Caudovirales) sia da mettere in relazione con l’insorgere del morbo.
«Ciò che abbiamo osservato - ha dichiarato Herbert Virgin IV, coordinatore dello studio - è soltanto la punta dell’iceberg. Saranno necessarie altre ricerche per conoscere meglio i virus intestinali, tenendo presente che molti sono ancora semisconosciuti».
UNA PATOLOGIA IN AUMENTO – «La patogenesi della malattia di Crohn - spiega Silvio Danese, responsabile del Centro Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali dell’Istituto clinico Humanitas di Rozzano (Milano) - sembra essere dovuta a un alterato rapporto tra sistema immunitario e agenti ambientali, in persone comunque geneticamente predisposte. Ma l’aumento vistoso registrato negli ultimi decenni fa pensare a un ruolo importante degli agenti esterni». Danese fa notare come sia stato rilevato un picco della patologia, per esempio, in bambini sottoposti a frequenti cicli di antibiotici e come anche l’alimentazione, quando povera di fibre, possa avere un ruolo di rilievo, alterando la qualità della flora batterica e favorendo anche altre patologie (e questo sarebbe dimostrato dall’alta incidenza della malattia in alcune zone fortemente industrializzate). Sul fronte genetico, sottolinea ancora Danese, è indubbio che esista una correlazione, anche considerata una percentuale di rischio di più del 50 per cento tra i gemelli di pazienti che sviluppano il morbo. Il gene spesso chiamato in causa si chiama NOD2 ed è coinvolto nella risposta ai batteri. Le mutazioni di questo gene, presente sul cromosoma 16, sono associate alla malattia di Crohn.
Data ultimo aggiornamento 4 marzo 2015
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