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Per contrastare la sifilide, una sola dose di penicillina è efficace quanto le tre previste

La sifilide, malattia a trasmissione sessuale veicolata dal batterio Treponema pallidum, è in aumento in diversi paesi, talvolta in modo assai rilevante. Per esempio, negli Stati Uniti quella dell’adulto è cresciuta del 61% dal 2019 al 2023, arrivando a circa 209.000 casi, quella congenita, trasmessa dalla madre al feto, del 108%. Per fortuna la terapia dispone di un antibiotico che è spesso ancora efficace, la penicillina chiamata benzatina o BPG, oggi somministrata in tre dosi. Presto, però, le indicazioni potrebbero cambiare, accorciando le somministrazioni a una sola. Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine dagl infettivologi del National Institute of Allergy and Infectious Diseases dei National Institutes of Health di Rockville dimostra infatti che una somministrazione di 2,4 milioni di unità in una sola dose (l’unità di misura degli antibiotici) è sufficiente. In esso, infatti, 249 pazienti reclutati in dieci centri statunitensi sono stati trattati con una sola iniezione, oppure con le tradizionali tre (per un totale, quindi, di 7,2 milioni di unità), praticate a tre settimane di distanza. E i risultati hanno mostrato l’equivalenza dei due trattamenti: le percentuali di risposta sono state rispettivamente del 76 e del 70%, nei due gruppi, una differenza non statisticamente significativa. Lo stesso si è visto anche quando il paziente aveva l’HIV e l’effetto è rimasto stabile nei sei mesi succesivi: non ci sono state ricadute. La BPG si conferma quindi efficace. 

Poter somministrare una sola dose avrebbe numerosi vantaggi: eviterebbe che alcuni dei pazienti non completassero il ciclo previsto perché troppo impegnativo, come accade oggi, e permetterebbe di risparmiare e di ridurre il rischio di resistenze. Tuttavia, occorreranno altri studi, con più pazienti, prima di confermare il cambiamento di protocollo.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 28 ottobre 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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