IN LIBRERIA
Long Covid: la prima indagine
sulle conseguenze del virus

Mentre la fase più acuta della pandemia sostenuta dalla variante Omicron si attenua, diventa sempre più evidente, in tutto il mondo, che l’eredità del Covid si farà sentire ancora a lungo, perché la sindrome post-virale chiamata ufficialmente PASC (Post Acute Sequelae of Sars-CoV 2), ma nota a tutti come Long Covid, interessa ormai milioni di ex malati. Persone per le quali è ancora molto difficile avere una diagnosi e intraprendere un cammino di cure che porti a uscire definitivamente dalla misteriosa (e spesso invalidante) condizione.
Ma che cos’è veramente il Long Covid? Come si manifesta? Chi colpisce? Quali sono le cause? Ci sono analogie con altre eredità delle grandi pandemie del passato, o con altre malattie del presente? E come si può affrontare? A queste e ad altre domande fornisce una prima risposta un libro appena uscito per Utet, Il Lungo Covid – la prima indagine sulle conseguenze a lungo termine del virus della giornalista scientifica Agnese Codignola, che sta seguendo l’andamento della pandemia e dei suoi diversi aspetti fin dai primissimi giorni.
Codignola ha suddiviso il testo in tre parti, per inquadrare la sindrome in un contesto più ampio. Nella prima descrive che cos’è questa strana malattia della quale sono stati identificati oltre 200 sintomi (numero che in alcuni studi arriva addirittura a 3-400): un primo elemento che fa capire quanto sia stato difficile incasellare i pazienti in una definizione e quanto ancora oggi permangano grandi ostacoli a un approccio razionale. Tra i sintomi più comuni e caratteristici, che l’autrice racconta anche attraverso le testimonianze dirette di diversi pazienti, vi sono l’affaticamento estremo (fatigue), la difficoltà di concentrazione (brain fog), la depressione, l’affanno, la tachicardia, la distorsione di gusto e olfatto, i disturbi gastrointestinali. Problemi che si manifestano in assortimenti sempre diversi (spesso con un andamento ciclico) in almeno un paziente adulto su tre, e in uno pediatrico su dieci (ma anche in questo caso le stime variano molto a seconda di come si definisce la sindrome).
In realtà – si legge in un excursus molto originale contenuto nella seconda parte del volume – il Long Covid non è un inedito: diverse pandemie di malattie respiratorie del passato hanno lasciato strascichi simili, a volte identici. Su tutte una, "la Russa", che flagellò l’Europa e il Nord America alla fine dell’Ottocento e che fu causata con ogni probabilità dal salto di specie di un coronavirus dei bovini chiamato OC43, oggi diventato agente di un normale raffreddore. Anche allora, per anni, si dovettero fare i conti con sequele diffuse, varie e piuttosto gravi.
Ci sono poi numerose infezioni virali endemiche che ancora oggi si comportano nello stesso modo: per esempio Ebola, le epatiti virali e diverse infezioni veicolate da Herpesvirus. E ci sono malattie come la sindrome da fatigue cronica e la fibromialgia che presentano molte caratteristiche comuni con il Long Covid: lo stesso virologo statunitense Anthony Fauci ha più volte invitato a considerare quanto si è capito finora di queste malattie a loro volta misteriose, per cercare di comprendere se anch’esse rappresentino reazioni dell’organismo a un’infezione.
Nella terza parte del libro, Codignola affronta il tema delle possibili terapie per il Long Covid, ancora molto poco specifiche. È infatti evidente che è difficilissimo, se non impossibile, definire una sola cura per questi pazienti: i centri che stanno cercando di definire un percorso per ogni malato, in base alle caratteristiche sue e del “suo” Long Covid, stanno anche sperimentando farmaci e riabilitazioni di diverso tipo (fisiche, ma anche olfattive, nutrizionali e così via) oltre a pratiche quali lo yoga, la meditazione, la mindfulness. La speranza, sottolinea l’autrice, è che si giunga presto a protocolli di massima condivisi, perché in loro assenza stanno sorgendo un po’ ovunque cliniche e trattamenti a volte potenzialmente pericolosi.
Infine, se si mettesse in piedi un modello assistenziale specifico per malati così complessi che devono essere seguiti nel tempo e basato su centri pubblici dedicati con team multidisciplinari, come si sta facendo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, probabilmente tutta la sanità ne trarrebbe un vantaggio. Non solo perché si eviterebbe di intasare ulteriormente gli ambulatori, che devono già recuperare quanto perso in due anni di pandemia. Ma anche e soprattutto perché quel modello potrebbe essere mantenuto e utilizzato anche dopo la fine del Long Covid, per applicarlo a una popolazione che invecchia e per la quale è necessario modificare profondamente le modalità di assistenza.
A.B.
Data ultimo aggiornamento 12 marzo 2022
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