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True crime che passione. Ma, anche, quanti rischi (di solito trascurati) per le co-vittime

Il genere True Crime, cioè i documentari che ricostruiscono crimini di solito efferati o mai giunti a soluzione con le testimonianze dei protagonisti, è tra i più amati dalle piattaforme e dai media in generale. Ma è del tutto innocuo per i parenti delle vittime? Quali sono gli aspetti più delicati? E tutti i film e le serie prodotti sono uguali, da questi punti di vista? 

Per rispondere a queto tipo di domande, un gruppo dell’Università del Nebraska di Lincoln ha intervistato in modo approfondito venti co-vittime di persone la cui storia è diventata un soggetto per un True Crime, e hanno messo in luce diversi aspetti molto importanti e delicati. Come riferito su Crime Media Culture An International Journal, il punto è trovare un equilibrio tra l’enorme, a volte devastante invasione della privacy che le co-vittime vivono, che può avere effetti veramente traumatici, e la necessità di tenere alta l’attenzione mediatica sul proprio caso, soprattutto quando si tratta di persone scomparse o di casi irrisolti.

Lo studio, di tipo qualitativo, ha evidenziato le cinque preoccupazioni principali tra le co-vittime: le inesattezze riportate; il sensazionalismo; la violazione o la perdita della privacy; le interazioni spiacevoli con i fruitori di true crime, compresi i troll e gli haters; la mancanza di controllo su come le storie vengono prodotte e modificate per essere poi proposte al pubblico, con possibili ulteriori danni.

Oltre agli aspetti problematici, poi, le co-vittime hanno illustrato i possibili effetti positivi, tra i quali l’attenzione del pubblico, considerata necessaria per tenere vive le inchieste, le ricadute sul sistema giudiziario e penale, la pressione esercitata dal pubblico affinché si approfondiscano o si tengano aperte le indagini. Non a caso, le vittime di casi di scomparsa o di casi irrisolti sono quelle che mettono in luce più spesso gli aspetti positivi: in genere desiderano ardentemente che l’attenzione non venga meno o che il caso non sia archiviato o chiuso, nella speranza di una svolta, e i True Crime sono un modo per ottenere questo risultato.

Tra gli aspetti meno scontati, inoltre, ci sono stati quelli relativi all’interazione tra pubblico e co-vittime. In molti casi si entra in contatto con persone che, anziché essere di aiuto, portano i propri traumi. In altri ci si scontra con investigatori dilettanti convinti di conoscere la verità, che diventano ostacoli, e in altri ancora con molestatori di vario tipo. In altre situazioni si incontrano invece persone animate da un sentimento sincero, che vogliono aiutare, anche se solo raramente ci riescono. 

Da un punto di vista generale, anche qui si fanno sempre i conti con gli algoritmi, che possono proporre allo stesso modo True Crime che rispettano canoni etici specifici, ma anche con altri di pessima qualità, sensazionalistici o che cercano solo di trarre un profitto commerciale da una tragedia, senza che sia possibile capire la differenza.

Allo stesso modo, le co-vittime non sembrano in grado di distinguere tra giornalisti e operatori, produttori e investigatori, detective dilettanti e professionisti, persone che minacciano inutilmente la loro privacy e altre che fanno domande necessarie, anche se delicate. Anche per questo, la loro opinione generale è che si debbano introdurre alcuni limiti etici che tutti dovrebbero rispettare, con il supporto di leggi adeguate.

Il True Crime probabilmete continuerà ad appassionare gli spettatori di tutto il mondo. Ma forse sarebeb ora di porre alcuni limiti, e di farli rispettare a tutti per evitare che le co-vittime subiscano danni ulteriori e vivano nuovi traumi.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 24 ottobre 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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