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Contro le dipendenze potrebbero arrivare
i composti della pianta Tabernanthe iboga

Il trattamento delle dipendenze e della depressione che non risponde ad altri farmaci potrebbe avvenire tramite uno o più composti frutto di un caso esemplare di ricerca farmaceutica, cioè derivati da un composto utilizzato da millenni in alcune culture tradizionali africane, ma mai entrato in commercio in occidente a causa dei molti effetti collaterali: l’ibogaina. Estratta dalla pianta iboga (Tabernanthe iboga), l’ibogaina appartiene alle culture sciamaniche di diversi paesi ma, fino dai primi del Novecento, è stata utilizzata in occidente - clandestinamente - soprattutto per trattare le dipendenze. Studiata più da vicino, ha mostrato di avere molti effetti collaterali, soprattutto a carico del cuore, perché dotata di più meccanismi d’azione su numerosi bersagli: si è cioè rivelata essere quello che si chiama un farmaco “sporco” e, per tale motivo, non è mai stata ammessa dalla medicina ufficiale. La sua azione principale è quella su una proteina chiamata trasportatore della serotonina o SERT, che serve appunto a trasportare il neurotrasmettitore all’interno delle cellule nervose. Il SERT, però, costituisce anche il bersaglio di un’intera classe di antidepressivi, capitanati dalla paroxetina, e per tale motivo i chimici di alcune università statunitensi si sono concentrati proprio sul legame dell’ibogaina con il SERT, cercando di verificarne le caratteristiche, per poi riprodurle senza avere altri effetti. Hanno così fatto analizzare ad appositi software ben 200 milioni di strutture chimiche, selezionandone poi 49, 36 delle quali potevano essere sintetizzate in laboratorio. Come riferito su Cell, 13 di esse legavano proprio SERT e, di queste, cinque meritavano uno studio prioritario. Le due che hanno mostrato le caratteristiche migliori sono state quindi sperimentate su modelli animali, e hanno mostrato di avere un meccanismo d’azione “pulito”, solo sul SERT, ed effetti più potenti della stessa paroxetina, al punto che, se dovessero diventare farmaci, si potrebbe ridurre la dose, rispetto a quest’ultima, di 200 volte.

Gli studi continuano, e i presupposti sono ottimi.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 10 maggio 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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