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Artrite, meno dolore fisico
se il tono dell’umore è positivo

L’umore influisce in misura significativa sul dolore associato all’infiammazione, tipico dell’artrite reumatoide. I malati – e i loro medici - ne sono consapevoli, ma finora non c’erano stati studi convincenti che dimostrassero l’importanza di un approccio positivo alla malattia e, in generale, del controllo dei sintomi depressivi per evitare il più possibile un aggravamento di quelli fisici. Ora però uno studio pubblicato sugli Annals of Behavioural Medicine e condotto dai reumatologi dell’Università della Pennsylvania (Stati Uniti) dimostra che, in effetti, a un peggioramento dello stato dell’umore corrisponde sempre lo stesso fenomeno sulla sintomatologia dolorosa.

Per giungere alle loro conclusioni, i ricercatori hanno selezionato un gruppo di malati e a ognuno di loro hanno dato uno smartphone con una specifica app, che permetteva di segnalare, cinque volte al giorno - rispondendo a specifiche domande - il tono dell’umore e la situazione fisica (gonfiore, limitazione alle attività quotidiane, dolore e così via). I ricercatori hanno chiesto ai pazienti di rispondere per una settimana; alla fine hanno dimostrato che i due aspetti vanno di pari passo e, un po’ a sorpresa, che è più rilevante l’effetto di un pensiero positivo rispetto a quello della depressione, sui sintomi della malattia. Secondo gli studiosi, quanto osservato rende concreta l’idea di affiancare alle terapie convenzionali, farmacologiche e fisioterapiche, anche uno specifico controllo e (in caso di necessità) supporto psicologico, come una terapia comportamentale, che aiuti a gestire al meglio i momenti di depressione, evitando che abbiano conseguenze sul dolore.

A.C.
Data ultimo aggiornamento 19 settembre 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: 
Mente e corpo. Sì, ma quale mente?
Quando l’infiammazione provoca depressione


Tags: artrite reumatoide, depressione, dolore



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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