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Sclerosi multipla: speranze dai primi dati
di una terapia a base di cellule staminali

Immagine al microscopio di cellule staminali neurali (NPCs) - © Ospedale San Raffaele

di Agnese Codignola

Curare le malattie neurodegenerative come la sclerosi multipla con cellule capaci di proteggere e rigenerare i tessuti andati persi è da lungo tempo l’obbiettivo di molti studi. Un obbiettivo che per anni è apparso piuttosto lontano, date le difficoltà oggettive che si riscontrano quando si vuole contrastare un danno al sistema nervoso, e in particolar modo quando si cerca di farlo attraverso la somministrazione di cellule integre e capaci di svolgere più funzioni come le staminali. Ora, però, quel traguardo sembra essere un po’ più vicino, grazie a un lavoro durato molti anni, incentrato sullo studio di un tipo particolare di cellule staminali fetali con caratteristiche nervose, chiamate neurali (o, più specificamente, progenitrici delle cellule nervose o Neural precursor cells, NPCs), giunto alla fase 1 della sperimentazione clinica: quella sui primi pazienti, finalizzata a verificare soprattutto la sicurezza del trattamento in esame e poi, quando possibile, a raccogliere i primi indizi di un’eventuale efficacia. Nel caso dell’impiego delle cellule staminali, questa è una delle fasi più delicate, perché diversi protocolli, negli anni scorsi, su malattie di vario tipo, hanno fatto emergere rischi non trascurabili, talvolta drammatici: per tale motivo, dopo anni di studi su modelli animali, tutti di segno positivo, si attendevano con trepidazione gli esiti dei primi pazienti. E per fortuna sono stati di segno positivo.

Gianvito Martino, direttore scientifico dell’Ospedale San Raffaele di Milano

Nello specifico, l’équipe di Gianvito Martino, direttore scientifico dell’Istituto San Raffaele di Milano, da anni in prima linea su questi temi, e in particolare i medici e ricercatori dell’Unità di ricerca di Neuroimmunologia e del Centro Sclerosi Multipla, hanno selezionato 12 pazienti, tutti con segni di una malattia in progressione, che non rispondeva più ad alcuna terapia, e a gruppi di tre li hanno trattati con quattro dosaggi crescenti di cellule staminali neurali, attraverso una puntura lombare. Spiega Martino ad Assedio Bianco: «Le cellule infuse sono staminali neurali che otteniamo da tessuti fetali donati, e di norma sono in grado di differenziarsi in cellule nervose. Ciò che accade nel caso della sclerosi multipla, tuttavia, è qualcosa di diverso. Le cellule staminali trapiantate, infatti, migrano lungo il midollo e, in base ai segnali chimici specifici inviati dalle cellule malate, “sentono” che qualcosa non va, non si differenziano e iniziano a secernere fattori neuroprotettivi. E il loro supporto, a quanto abbiamo visto finora, sembra avere un effetto terapeutico importante». Le molecole rilasciate, chiarisce ancora Martino, costituiscono quello che da alcuni anni è l’osservato speciale delle staminali (non solo di questo sottotipo), chiamato secretoma. «Secondo l’interpretazione più moderna - spiega Martino - in alcuni casi non si deve puntare tanto sulle cellule staminali in quanto appunto cellule, ma su tutto ciò che esse sono in grado di riilasciare in risposta agli stimoli, cioè appunto sul secretoma, ed è ciò che abbiamo fatto».

Come riportato su Nature Medicine, seguendo i pazienti per due anni, i ricercatori non solo hanno verificato la sicurezza della procedura, che non sembra aver comportato effetti collaterali o tossicità, ma hanno anche iniziato a vedere i primi segnali positivi, come chiarisce ancora Martino: «La risonanza magnetica delle persone trattate fa emergere una riduzione significativa della perdita di tessuto nervoso, cioè un apparente arresto della neurodegenerazione, soprattutto per coloro che hanno ricevuto i dosaggi più elevati di staminali. Andando poi ad analizzare la composizione del liquido cerebrospinale, si ha la conferma che qualcosa sta cambiando, perché in costoro si nota un evidente aumento di fattori neuroprotettivi e antinfiammatori». Ed è proprio la protezione la chiave della possibile terapia.

Nella sclerosi multipla, patologia di origine autoimmune, infatti, a essere sotto attacco da parte degli autoanticorpi è la mielina, la guaina protettiva che ricopre e preserva le fibre nervose. Quando la mielina viene disgregata, queste ultime sono esposte e vengono rapidamente danneggiate fino a essere distrutte. Ma la perdita delle unità di mielina e fibre (assoni) comporta la perdita di funzionalità, dalla quale derivano i sintomi della malattia. Per questo motivo l’azione più importante è il ripristino della mielina e dell’integrità del suo legame indissolubile con l’assone. E le staminali neurali fanno esattamente questo: aiutano a preservare e probabilmente almeno in parte a ricostituire la mielina e la fibra nervosa a essa collegata, stando a quanto si è visto finora nei modelli animali, e a quanto si inizia a vedere appunto nei primi pazienti. «Tutto ciò, che naturalmente dovrà essere confermato su campioni più ampi di malati - aggiunge Martino - autorizza a sperare che il trapianto di staminali neurali possa costituire una terapia in grado, quantomeno, di fermare la perdita di cellule nervose e di favorire la riparazione dei danni. Ma solo il tempo potrà darci tutte le informazioni necessarie a valutare correttamente questa cura, che agisce, è bene ricordarlo, sugli effetti della malattia e non sulle sue cause». Ci vorranno dunque ancora anni di sperimentazioni per arrivare a un’eventuale terapia standardizzata, ma se tutto andasse per il meglio, ci sono aspetti che potrebbero rendere questa cura relativamente accessibile, cui i ricercatori hanno pensato fino dal primo momento, come chiarisce ancora l’esperto: «Possiamo disporre di queste cellule in quantità significative, e il trattamento può essere ripetuto, se necessario. Ciò significa che, in futuro, potrebbero esserci formulazioni standardizzate e alla portata di molti centri».

Lo studio, chiamato STEM, rappresenta il punto di arrivo di circa 20 anni di studi di Martino e dei molti ricercatori che hanno lavorato e collaborato con lui, ed è stato reso possibile grazie al contributo costante dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla e della sua Fondazione, ma anche grazie alla collaborazione, per la preparazione delle staminali, del Laboratorio di Terapia Cellulare Stefano Verri, sostenuto della Fondazione Matilde Tettamanti e Menotti De Marchi Onlus e con la Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.

Foto di gruppo dei medici e ricercatori dell’Unità di ricerca di Neuroimmunologia e del Centro Sclerosi Multipla dell’ospedale San Raffaele che hanno condotto lo studio

 

Data ultimo aggiornamento 9 gennaio 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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