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Tra i soccorritori delle Torri Gemelle il tasso di tumori al polmone è tre volte la media

Purtroppo c’è la conferma: come visto già nei primi anni successivi all’11 settembre 2001, le persone che per vari motivi sono accorse alle Torri Gemelle, e magari ci sono rimaste per giorni per aiutare, si stanno ammalando di tumore al polmone molto più di quanto non avvenga tra i concittadini di New York. E siccome i dati delle ultime rilevazioni riguardano migliaia di persone, restano ormai pochissimi dubbi sul ruolo di quell’incredibile miscela di tossine, polveri e contaminanti di vario tipo inalata e assorbita in vario modo da chi si trovava lì nell’insorgenza della malattia.

A confermarlo c’è appunto uno studio pubblicato su JAMA Network Open dai ricercatori della Stony Brook University della stessa città, che da subito si sono dedicati a studiare le conseguenze sula salute di coloro che sono sopravvissuti all’attacco al World Trade Center, e soprattutto di tutti coloro (pompieri, miliutari, poliziotti, operai e così via) che, in vesti diverse, sono rimasti sul luogo dell’attentato per giorni e giorni. In esso è stata infatti analizzata la storia medica di oltre 12.300 soccorritori che all’epoca avevano un’età media di 49,3 anni, e si è visto che tra di loro, nei dieci anni successivi, si sono avute 118 diagnosi di tumore ai polmoni. Il numero è triplo rispetto a quello degli abitanti di New York non accorsi, con un andamento direttamente collegato alla quantità di contaminanti inalati e alla durata della permanenza. Inoltre, le fonti peggiori sono risultate essere le fognature e gli scarichi scoperchiati e i gas sprigionatisi dalle macerie. Il monitoraggio continua, per capire ancora meglio le conseguenze a lungo termine della tragedia, ma i dati sono utili anche per prevedere e poi affrontare che cosa sta acacdendo oggi in situazioni come la distruzione delle città della Striscia di Gaza dive le rovine continuano a emettere gas e polveri e dove la popolazione è costretta a inalarle quelle tossine.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 11 novembre 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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