FARMACOLOGIA
La finasteride aumenta il rischio di suicidio:
i silenzi colpevoli dell’azienda e dell’FDA
La finasteride, farmaco indicato per contrare la calvize, approvato negli Stati Uniti nel 1997, sarebbe associato a un chiaro aumento di depressione e rischio di suicidio, e per questo il suo utilizzo andrebbe regolamentato in modo assai più stringente rispetto a quanto non avvenga ora. Per di più, l’azienda che lo produce, la Merck, sarebbe a conoscenza di questo effetto da molti anni, e avrebbe sempre colpevolmente taciuto. E la Food and Drug Administration, nonostante le molte segnalazioni (le prime risalgono al 2002), ha introdotto un allarme sui rischi per il tono dell’umore solo nel 2011, e uno sul rischio di suicidio solo nel 2022. La sua controparte europea, la European Medicine Agency, ha ammesso il rischio suicidio solo nel 2025. Tutto questo è accaduto nonostante tra il 2017 e il 2023 vi siano state quattro grandi revisioni indipendenti giunte tutte alle stesse conclusioni, e cioè che quei pericoli erano reali, e che diversi casi di suicidio nel mondo erano da attribuire, con ogni probabilità, al farmaco. Il risultato è stato anche una sottovalutazione dei casi di suicidio: secondo le stime sarebbero oltre 600 all’anno solo negli Stati Uniti, ma i registri ufficiali ne segnalano la metà.
Questa la conclusione di uno articolo pubblicato sul Journal of Clinical Psychiatry nel quale si citano anche documenti interni della FDA, recentemente venuti alla luce, che dimostrano che già nel 2010 era presente l’allarme. Nel 2011, poi, ci sono stati almeno 18 suicidi attribuibili alla terapia: morti che nel frattempo sarebbero diventate migliaia, se si calcola la diffusione della finasteride nel mondo.
L’associazione tra il farmaco e i suicidi non ha mai stupito i farmacologi, perché la molecola blocca anche i neurosteroidi, ormoni collegati con la regolazione dell’umore. E infatti tra i possibili effetti collaterali vengono citati la confusione mentale, l’insonnia, gli attacchi di panico e i pensieri suicidari che possono persistere anche per anni dopo la fine delle terapie.
Tutta la vicenda mette sotto accusa sia la FDA, che - per esempio - ha impiegato cinque anni a rispondere a una petizione popolare che chiedeva l’inserimento di uno specifico avviso sulle confezioni, sia la Merck, che conosceva i rischi da anni e avrebbe fatto di tutto perché nessuno sapesse. Per questo gli autori chiedono una radicale revisione delle procedure di approvazione e monitoraggio di questo farmaco e di tutti quelli con meccanismo d’azione simile, anche perché, oltretutto, non si tratta di salvavita ma di terapie finalizzate a neutralizzare una condizione estetica e di solito non patologica.
A.B.
Data ultimo aggiornamento 13 novembre 2025
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