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Narcolessia: ecco le cause di una malattia misteriosa

di Maria Santoro

Uno studio svizzero (“T cells in patients with narcolepsy target self-antigens of hypocretin neurons”), pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, permette di fare chiarezza per la prima volta sui meccanismi che innescano la narcolessia, una malattia per certi aspetti misteriosa, caratterizzata da un’eccessiva sonnolenza diurna e da cataplessia (cioè da brevi episodi di perdita di tono muscolare innescati da forti emozioni). Descritta per la prima volta nel 1877, la narcolessia è causata dalla perdita nel cervello dei neuroni dell’ipotalamo che producono un neurotrasmettitore chiamato ipocretina, fondamentale nella regolazione dei ritmi veglia-sonno, ma importante anche nella "gestione" dei comportamenti emotivi. Ebbene, gli autori dello studio apparso su Nature hanno scoperto che la distruzione di questi neuroni è provocata da una reazione autoimmune, di cui sono protagonisti (negativi) particolari tipi di linfociti T (cellule fondamentali dell’apparato immunitario), che riconoscono l’ipocretina e per errore uccidono, direttamente o indirettamente, le cellule nervose che la producono. Questa scoperta potrà giocare un ruolo importante per la diagnosi e la cura della narcolessia.

Lo studio è stato coordinato congiuntamente dalla professoressa Federica Sallusto, dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina di Bellinzona (IRB, affiliato all’Università della Svizzera italiana) e del Politecnico di Zurigo, e dal professor Claudio Bassetti, del Dipartimento di Neurologia dell’Inselspital di Berna. Lo studio ha coinvolto anche il Neurocentro della Svizzera italiana dell’Ente Ospedaliero Cantonale (EOC), il Centro per la ricerca sul sonno e la medicina del sonno della Clinica Barmelweid, il Dipartimento di fisiologia dell’Università di Losanna, l’Istituto di immunologia sperimentale dell’Università di Zurigo e l’Istituto di immunologia dell’Università Witten/Herdecke in Germania. Il lavoro è stato sostenuto dal Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica, dal Consiglio Europeo della Ricerca (ERC) e dalla Fondazione Helmut Horten. «Questo è un ottimo esempio di ricerca traslazionale che coinvolge scienziati di base e ricercatori clinici – sottolinea il dottor Mauro Manconi, caposervizio Disturbi del sonno ed epilessia presso il Neurocentro della Svizzera italiana e co-autore dello studio - ed è stato reso possibile grazie a tutti i pazienti che hanno partecipato al protocollo di studio».

LA MALATTIA - La narcolessia è una patologia rara e cronica del cervello, che colpisce circa lo 0,05% della popolazione mondiale e si manifesta, come dicevamo, con eccessiva sonnolenza diurna ("attacchi di sonno"), cataplessia (perdita di controllo muscolare, tipicamente innescata da improvvise emozioni positive), allucinazioni e disturbi del sonno. La malattia può essere scatenata da fattori ambientali ma ha anche, molto probabilmente, una base genetica, visto che in oltre il 95% dei pazienti è stata trovata una variante del DNA chiamata HLA DQB1*0602.

LA SCOPERTA - I ricercatori dell’IRB hanno utilizzato un metodo sviluppato nei laboratori di Bellinzona per analizzare i linfociti T dei pazienti affetti da narcolessia, e sono riusciti a identificare, per la prima volta, linfociti T del tipo CD4 e, in alcuni casi, del tipo CD8, che reagiscono contro l’ipocretina e contro altre proteine espresse nei neuroni che la producono. Questi linfociti autoreattivi possono causare un’infiammazione che danneggia i neuroni o addirittura li uccide. «Bloccando questi linfociti fin nelle prime fasi – afferma la professoressa Federica Sallusto - è possibile prevenire la progressione della malattia».

Inoltre, nei pazienti studiati, i ricercatori hanno escluso un ruolo del virus influenzale (come invece si era ipotizzato) nell’induzione dei linfociti T che reagiscono contro l’ipocretina. «Questi risultati rappresentano un importante passo avanti – rimarca la dottoressa Daniela Latorre, ricercatrice presso l’Istituto di microbiologia del Politecnico di Zurigo e co-autrice dello studio - e uno stimolo a estendere le nostre ricerche immunologiche ad altre forme di disturbi del sonno».

Aggiunge il professor Bassetti: «Questa pubblicazione farà aumentare la consapevolezza sulla narcolessia, che rimane poco conosciuta nella popolazione e spesso non diagnosticata, o solo tardivamente, dai medici. Lo studio aprirà anche nuove opportunità per una diagnosi precoce e nuovi approcci terapeutici per questa malattia invalidante».

Data ultimo aggiornamento 19 settembre 2018
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


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Tags: Ente Ospedaliero Cantonale, narcolessia, sonno, Svizzera, Università della Svizzera Italiana



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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