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La meditazione è una cura

di Maria Giovanna Luini

C’è chi dice che la meditazione non sia adatta agli occidentali, esistono studi che sostengono questa tesi e partono dal presupposto che per meditare si debba possedere un patrimonio culturale molto radicato in un certo modo di affrontare la vita. La mente occidentale è razionale, concreta, poco creativa (perché ingabbiata entro limiti e non certo perché priva di talenti) e convinta che il ragionamento sia la forma migliore di concentrazione: sono presupposti che non rendono facile l’apprendimento della meditazione, che si basa sull’interruzione dei pensieri, la sospensione del giudizio e una forma di concentrazione opposta rispetto allo sforzo cognitivo. 

Per chi ha una formazione occidentale concentrarsi significa pensare intensamente, per chi conosce le filosofie orientali concentrarsi significa lasciare andare e liberarsi da ogni pensiero creando il vuoto nella mente. 

Proviamo a immaginare una specie di pilota automatico che si innesta nel momento in cui lasciamo andare il controllo e smettiamo di sentirci obbligati a pensare, organizzare, gestire: ecco l’esempio più evidente di meditazione creativa. E’ quel pilota automatico, l’istinto finalmente senza briglie, la pace vivida tra un respiro e l’altro. Non è assenza ma anzi presenza totale senza l’ingombro di mille suoni, immagini, eventi e riflessioni a scuotere l’inconscio.

Nella difficoltà occidentale a meditare ci sono anche questioni genetiche ed evolutive, ma non rientrano nell’argomento specifico di questo post: diciamo che la meditazione sembra più adatta a persone di origine orientale, anche se la contaminazione tra popoli che da alcuni anni ci riguarda sta contribuendo ad allargare orizzonti e mentalità.

Eppure la meditazione è una cura. Sempre di più ci stiamo rendendo conto che lasciare andare lo stress con sedute di rilassamento associate o meno a visualizzazione, respiro controllato e creatività libera sia utile per rinforzare l’efficacia delle terapie convenzionali aumentando la sensibilità dei pazienti con un grado inferiore di effetti collaterali. Andando ancora più in là possiamo citare le esperienze di chi con la meditazione regolare e le tecniche di rilassamento profondo ha ottenuto regressioni di malattie croniche e tumori in assenza di altre terapie: non mi sogno di consigliare questo approccio a priori, ma voglio che il dubbio ci sfiori, perché avere il dubbio che la meditazione da sola sia capace di guarire indica la potenza meravigliosa e assoluta della nostra mente nella relazione con il corpo.

Non si scopre solo oggi che meditare ha un impatto positivo sulla salute sia in termini di benessere psicofisico (che si automantiene) sia in termini di guarigione da disturbi e malattie. Lo scopo principale della meditazione è fermare i pensieri e lasciare che qualcosa affiori. Cosa deve affiorare? Il proprio Sé, l’illuminazione, la luce di Dio, l’intuizione laica o atea di un’idea, l’armonia della psiche, l’autoguarigione del corpo. Ed eccoci a noi frequentatori dell’Assedio Bianco: l’autoguarigione del corpo. Pare che interrompere i ragionamenti affastellati l’uno sull’altro, rallentare gli sforzi per essere come immaginiamo di dovere essere, abbandonare temporaneamente il concetto di obbligo, dovere, fretta e razionalità conceda alla psiche e al corpo una tregua da cui nasce un meccanismo istintivo e automatico di guarigione fisica. 

Meditare in modo rilassato toglie o attenua i blocchi emotivi (e sappiamo che le emozioni hanno un ruolo nella genesi delle malattie), ridistribuisce l’energia in modo fluido, risolve conflitti interiori, regola il respiro favorendo una migliore ossigenazione dei tessuti e riduce le nevrosi; in più, c’è quella regolamentazione spontanea negli ormoni e neurotrasmettitori di tutto il sistema-corpo che, pure se ancora poco nota, scatta quando ci lasciamo andare rifiutandoci di adottare la razionalità quale guida a oltranza. 

Tutti i più famosi medici olistici dei giorni nostri insegnano tra l’altro tecniche semplici di meditazione da applicare quotidianamente: qualunque sia il loro credo (non serve appellarsi a un Dio se si è convinti che non esista), ritengono che fermare i pensieri e rilassare mente e corpo sia fondamentale per innescare il meccanismo dell’autoguarigione. Il corpo sa cosa fare, questa è la base di ragionamento. E direi che ci sia poco spazio per l’obiezione perché tutti abbiamo sperimentato quanto il corpo sia in grado di fermare le emorragie (entro un certo limite), riparare le ferite, ripristinare l’integrità delle ossa dopo una frattura. Il corpo sa cosa fare, il problema è che in molte situazioni (tumori compresi) non possiamo fermarci ad aspettare per vedere cosa succede. Qualcuno lo fa, ma la dose di coraggio necessaria è troppo alta per adottare un simile rimedio in tutti i casi. 

Meditare è un baluardo valido per difendere la salute della mente e del corpo, e li cito entrambi avendo molto chiaro che solo quando ci decideremo a considerarli integrati, non scissi ma anzi fusi insieme nella funzionalità e nell’importanza avremo colto il significato di ciò che siamo. Meditare come? Nella mia esperienza, ciò che importa è trovare un modo per liberarsi dai pensieri: alludo anche ai pensieri automatici che sembrano sbucare fuori ogni secondo senza potersi bloccare. Proviamo a immaginarli come piccole scatolette, oppure pacchi o nuvole che possiamo osservare brevemente e lasciare andare via senza soffermarci. La posizione per la meditazione dipende da noi: la schiena dritta aiuta, gli occhi chiusi anche, ma possiamo essere seduti, sdraiati o addirittura in piedi. Possiamo a volte meditare camminando, a patto che lasciamo andare via i pensieri. Osservare il respiro contando fino a sette (è un numero arbitrario) in inspirazione ed espirazione è un trucco per calmare la razionalità, e un altro trucco è visualizzare qualcosa davanti a sé come su uno schermo luminoso: una mela, un nome, un fiore, un oggetto qualsiasi. Ripetere un mantra è bellissimo e contribuisce alla guarigione o al mantenimento del benessere, dell’autostima e della visione positiva: il mantra è una parola o una frase che per noi ha un valore, un significato, un potere magico. 

Mi capita di meditare ballando: non è propriamente una forma di meditazione “standard” ma quando libero le energie grazie alla musica che trascina via, la mente smette di pensare e il corpo tira fuori le risorse migliori per essere in salute.

Su internet si trovano decine di meditazioni guidate anche in lingua italiana. Credo sia vero che nello stato di trance o rilassamento profondo la mente e il corpo iniziano a creare in libertà con lo scopo di ottenere il massimo del benessere, per questo suggerisco a tutti i pazienti che incontro come senologa e medico olistico di integrare le eventuali terapie convenzionali e non convenzionali con una meditazione quotidiana. L’impatto sulla serenità interiore e sulle scelte di vita è garantito, il contatto con quello che tanti chiamano il Guaritore Interiore anche.

E buona vita!

Data ultimo aggiornamento 27 marzo 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: meditazione, mente e corpo, tumori



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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