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La fotografia al tempo di Covid:
atmosfere da Divina Commedia

L’epidemia imperversa ancora in molte zone del mondo e la cultura si interroga. Quale ruolo può avere in momenti come questo l’arte? C’è chi ha cantato sui balconi, chi ha improvvisato concerti domestici, alcuni personaggi dello spettacolo si sono concessi al pubblico alla distanza di uno schermo. Finalmente gli esseri umani hanno capito l’importanza di “essere umani”, di sentirsi uguali, tutti ugualmente persi in un mondo ostile e sconosciuto, dove il cuore allunga i suoi tentacoli per un abbraccio, mentre mani e volto restano coperti di paura per il contagio.
La fotografa belga Danielle van Zadelhoff ha scelto di impiegare il tempo della quarantena di contenimento per Covid-19 selezionando alcune delle sue opere più evocative, in parte mai esposte, che interpretano il significato dell’attuale pandemia.
«Sono tutte fotografie del mio archivio – racconta - fatte quando ancora potevo lavorare con modelli e modelle in studio». Danielle vuole dimostrare lo straordinario potere della cultura e dell’arte come risorse per suscitare riflessioni e sentimenti: «Gli artisti, oggi più che mai, possono creare preziose connessioni – afferma – e parlare alle persone usando bellezza e conoscenza».

IL PROGETTO - L’artista ha riunito le sue fotografie e intitolato il progetto La Divina Commedia, un omaggio al Sommo Poeta italiano e ai canti di un’opera considerata la più importante testimonianza della civiltà medioevale: «Viviamo le emozioni che appartengono all’Inferno e al Purgatorio – spiega. – Gli uomini sono troppo egocentrici, disonesti, ostili gli uni con gli altri, hanno smarrito la propria spiritualità».  Per me si va nella città dolente, per me si va nell’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente, sono i versi del terzo canto dell’Inferno che introducono il viaggio ultraterreno di Dante: «Parole sempre attuali purtroppo: questa epidemia è la nostra opportunità di riscatto verso l’altruismo, la compassione, l’amore» – sottolinea Danielle van Zadelhoff. – Ci indicherà la strada verso il Paradiso, trasformandoci in persone migliori».
L’uomo, proprio come Dante, cerca la ragione di “Virgilio” per comprendere profondamente il peccato di cui si è macchiato: «Ha usurpato la Terra, l’ha sfruttata, ne ha depredato ricchezze e risorse senza ripartirle con equità tra i popoli» – sostiene ancora la fotografa. – Non vogliamo precipitare come Lucifero nel ventre della Terra, ma seguire Beatrice a riveder le stelle».

CIMONE E PERO - In una delle fotografie Danielle van Zadelhoff racconta la storia di Cimone e Pero. Si tratta di un episodio narrato nel Factorum et dictorum memorabilium libri IX dello storico romano Valerio Massimo. È considerato il più alto e commovente esempio di caritas e pietas cristiana: «Una donna, Pero, allatta il padre, Cimone, in prigione – spiega Daniella. – Cimone è stato condannato a morire di fame, ma la figlia segretamente lo raggiunge e lo nutre dal proprio seno, salvandogli la vita». Il tema ha appassionato il mondo dell’arte, che lo ha raffigurato più volte per mano di Caravaggio, Rubens, Vermeer. E ora l’arte della fotografia: «Cimone è il simbolo della resistenza alla morte e Pero dell’amore filiale» – afferma Danielle van Zadelhoff. – Oggi siamo tutti come lei, cerchiamo di mettere al sicuro i nostri genitori e le generazioni degli anziani più vulnerabili alla malattia, lasciando che si aggrappino con forza alle nostre scelte, alle nostre azioni più virtuose, per sopravvivere all’epidemia».

LA BAMBINA E L’UOVO - L’infanzia, sinonimo di purezza e speranza, fa capolino tra le fotografie del progetto: «Una bambina tiene in mano una campana di vetro all’interno della quale si trova un uovo, emblema della vita, avvolta nel guscio come fosse un grembo materno e sempre più fragile – racconta Danielle van Zadelhoff. – I malati Covid-19 sono l’uovo e la vita allo stesso tempo, isolati ma non abbandonati, al riparo dalla tempesta che si agita sulla Terra». A volte il guscio si infrange, a volte sopraggiunge la morte: «Ogni giorno migliaia di persone subiscono lo stesso destino – continua Danielle – ma alle nostre spalle, se riusciamo a non lasciarci sopraffare dalla disperazione, la luce ci sorprende».

LOST - Si intitola Lost ed è la fotografia che ritrae una donna con una chiave pendente sulla schiena: «Ciascuno di noi possiede risorse che neppure immagina – sostiene Danielle van Zadelhoff. – Quando tutto ci sembra senza speranza, possiamo attingere al nostro forziere di talenti per meritare nuovamente la vita». La chiave che apre il futuro, come Beatrice nella Divina Commedia apre il Paradiso a Dante, è l’amor che move il sole e l’altre stelle: «Ci aspettano nuove sfide» – conclude Danielle van Zadelhoff. – Le possiamo vincere attingendo ai legami che ogni giorno riscopriamo in silenzio, al valore delle relazioni. L’isolamento ci aiuta a privilegiare i nostri affetti e sentirci parte di una grande famiglia chiamata mondo. Niente è perduto per sempre». 

 

 

Data ultimo aggiornamento 29 maggio 2020
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: • Le epidemie sono prevedibili, basta sapere (e volere) cercare


Tags: coronavirus, Covid-19



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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