Questo sito utilizza cookies tecnici per l'analisi del traffico, in forma anonima e senza finalità commerciali di alcun tipo; proseguendo la navigazione si acconsente all'uso dei medesimi Ok, accetto

La dismorfia da videoconferenza induce molti a chiedere aiuto ai chirurghi plastici

L’utilizzo delle piattaforme per i meeting virtuali come Zoom, Meet, Teams, Skype e tutte le altre, aumentato in misura esponenziale dopo la pandemia, può avere un effetto collaterale imprevisto: la dismorfia da videoconferenze. Dietro questo termine tecnico, che ne riprende uno simile emerso quale che anno fa, la dismorfia da Snapchat, c’è una distorsione della percezione della propria immagine (dismorfia) provocata dal fatto che si passa troppo tempo a osservarsi, in questo caso grazie alla telecamera. In altre parole, stare davanti alla telecamera a lungo, e più volte alla settimana, è un po’ come stare davanti allo specchio, e non fa bene alla psiche. Perché genera un’immagine di sé non corrispondente alla realtà, spesso troppo negativa, che stimola le persone a pensare o a ricorrere alla chirurgia plastica più di quanto non avessero mai fatto prima.

A queste conclusioni giunge uno studio pubblicato sul Journal of Clinical and Aesthaetic Dermatology e condotto anche in conseguenza della segnalazione di molti chirurghi plastici, che hanno visto crescere notevolmente le richieste di aggiustamenti solo estetici dalla pandemia in poi. 

Per comprendere se la sensazione degli specialisti fosse fondata, i ricercatori del Boston University Cosmetic and Laser Center hanno intervistato oltre 540 adulti, chiedendo loro quante volte partecipavano a riunioni virtuali in una settimana media e quale fosse la loro inclinazione rispetto alle tecniche chirurgiche estetiche. Hanno così scoperto che, in più di una persona su due (nel 55,8% dei partecipanti), l’abitudine a prendere parte a meeting virtuali era direttamente collegata al desiderio di correggere il proprio aspetto, e che il 57,8% era condizionato dalla possibilità di utilizzare filtri per le immagini. Il 67%, poi, ha ammesso di avere riunioni di questo tipo molto spesso, e chi ne aveva di più era anche più spesso desideroso di ricorrere al lavoro di un chirurgo plastico.

Infine, l’impiego di mascherine è risultato associato a una maggiore autostima (nel 68,8% degli intervistati) e a un minor desiderio di ricorrere alla chirurgia (nel 67,4% dei casi).

Secondo gli autori, i chirurghi dovrebbero analizzare attentamente le motivazioni di chi chiede cambiamenti estetici, perché in molti casi si tratta di esagerazioni, di dismorfie, appunto, provocate dal fatto di rimanere per molte ore con la propria immagine davanti, fino a a scorgerla peggiore di quanto non sia.

Ogni procedura chirurgica comporta rischi di cui si dovrebbe sempre tenere conto, confrontandoli con i possibili benefici e con la reale esigenza di ricorrervi, in assenza di una malattia.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 29 gennaio 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



Warning: Use of undefined constant lang - assumed 'lang' (this will throw an Error in a future version of PHP) in /var/www/nuevo.assediobianco.ch/htdocs/includes/gallery_swiper.php on line 201

Notice: Undefined index: lang in /var/www/nuevo.assediobianco.ch/htdocs/includes/gallery_swiper.php on line 201

Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

Chiudi

Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

VAI ALLA VERSIONE COMPLETA