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La deforestazione fa aumentare il rischio di malaria. Ma è in arrivo un test non invasivo

La deforestazione compromette l’efficacia delle protezioni contro la malaria, e anche per questo dovrebbe essere fermata. Le popolazioni esposte al contagio possono però sperare in un nuovo test che, a differenza dei metodi utilizzati oggi, riesce a confermare la diagnosi in pochi minuti e con una sola goccia di sangue.

Sono di segno opposto le due notizie relative alla malaria, balzata nuovamente agli onori (si fa per dire) delle cronache mondiali come concausa della misteriosa malattia che ha ucciso decine di persone in Congo alla fine del 2024.

La prima, contenuta in uno studio pubblicato dai ricercatori dell’Università del Vermont sulla rivista della British Ecological Society chiamata People and Nature, dimostra, con dati relativi agli ultimi 20 anni sui cambiamenti demografici, geografici, socioeconomici e sull’andamento delle malattie, come la deforestazione renda molto meno efficace uno dei metodi di maggior successo nel contenimento dei contagi: quello delle reti intrise di insetticidi da posizionare sopra i letti, soprattutto dei bambini, per evitare il contatto con le zanzare anofele, vettrici del microrganismo (il plasmodio) che provoca la malaria. Le reti impediscono più del 30% dei contagi dei bambini, ma solo quando la deforestazione non supera il 50%. Quando la perdita di biodiversità e di piante è stata spinta oltre quel valore, l’efficacia è infatti crollata, probabilmente perché la scomparsa delle foreste lascia il campo a molti specchi d’acqua nei quali le anofele proliferano senza incontrare nemici. Lo studio, peraltro, ne conferma un altro dello stesso gruppo di ricercatori, che aveva dimostrato, con dati di 20.000 bambini di sei paesi africani, che la deforestazione aumentava il rischio di contagio da malaria.

Il secondo studio è stato invece pubblicato su Nature Communications dai ricercatori della Yale School of Public Health, che hanno messo a punto uno strumento chiamato Cytophones che potrebbe rivoluzionare la diagnosi. Nel sangue dei malati si forma infatti una proteina chiamata hemozoina, con ferro, che il dispositivo è in grado di individuare grazie a un laser. Basta quindi una goccia di sangue per capire se è presente. Provato su 20 camerunensi che avevano la malattia, Cytophones ha rivelato una sensibilità del 90% e una specificità del 69%, cioè una capacità di diagnosi superiore a molti dei test oggi disponibili. Lo strumento è anche molto facile da usare, fatto che lo candida a un impiego esteso e da parte anche di personale non medico.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 2022 ci sono stati oltre 600.000 decessi dovuti alla malaria, più del 75% dei quali tra i bambini, soprattutto delle zone più povere dell’Africa. Gli obbiettivi della stessa OMS prevedono di ridurre la malaria dal 90% e di farla comparire da 35 paesi entro il 2035.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 23 gennaio 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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