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Due vecchi medicinali riescono
a "riparare" le fibre nervose

di Agnese Codignola

Due vecchi farmaci, usatissimi in tutto il mondo, molto economici e conosciuti per quanto riguarda la sicurezza, potrebbero trasformarsi nuove, importanti terapie per la sclerosi multipla. Stiamo parlando del miconazolo, un antifungino usato localmente per le micosi quali il piede d’atleta, e del clobetasolo, un cortisonico impiegato anch’esso per uso esterno, contro l’eczema. I ricercatori di diversi gruppi di alcune università statunitensi hanno infatti scoperto, analizzando più di 700 farmaci già un uso, che sette di loro potevano avere una certa efficacia anche contro la sclerosi multipla, e hanno poi ristretto il campo a queste due molecole. Quindi hanno condotto esperimenti su modelli animali e su cellule umane, e hanno così dimostrato – e raccontato sulla rivista Nature – che il miconazolo e il clobesatolo hanno un effetto rimielinizzante, e che il clobetasolo ha anche un effetto immunosoppressivo.

Il risultato è importante perché finora tutte le terapie, anche le più nuove, hanno mostrato solo un’azione sintomatica o sul sistema immunitario: sono in grado, cioè, di rallentare l’evoluzione e contenere i danni, ma non riescono a stimolare la ricostituzione della mielina, la guaina protettiva dei neuroni che - nella sclerosi multipla - va persa in seguito all’attacco autoimmune; i due vecchi farmaci sembrano essere le prime molecole in grado di farlo.

Gli autori dello studio si raccomandano molto, però, con tutti coloro che pensassero di ricorrere all’automedicazione, di non farlo, per ora: i loro dati vanno confermati sui pazienti e con formulazioni orali di farmaci che, a oggi, vengono prescritti per uso esterno. Ma le speranze sembrano fondate, e i risultati nell’uomo potrebbero arrivare abbastanza presto, visto che di miconazolo e clobetasolo si sa già moltissimo.

 

Data ultimo aggiornamento 27 aprile 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: sclerosi multipla



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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