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La cannabis terapeutica è efficace solo per
la nausea, il vomito e la perdita di appetito

Nonostante la popolarità e le molte fake news che girano sui social sui più disparati effetti terapeutici, la cannabis medica ha poche azioni certe. Per tutte le altre, gli studi sono carenti, incompleti quando non assenti. E un uso eccessivo può avere conseguenze anche gravi sugli adolescenti, e serie negli adulti.

Cerca di mettere ordine la grande revisione appena pubblicata su JAMA, nella quale da un primo set di oltre 2.500 articoli ne sono stati selezionati 120, i migliori dal punto di vista statistico e scientifico, per capire quali fossero gli effetti dimostrati.

Il risultato è stato chiarissimo: le possibili azioni terapeutiche sono dimostrate solo per quanto riguarda la perdita di appetito tipica dell’AIDS conclamato o dell’infezione da HIV, la nausea a il vomito associati alla chemioterapia e per alcuni tipi di convulsioni epilettiche in rare malattie infantili quali le sindromi di Lennox-Gastaut e quella di Dravet, che coincidono con le indicazioni previste dalla Food and Drug Administration statunitense. Non ha fondamento uno degli impieghi più diffusi, quello contro il dolore cronico, per combattere il quale, tra l’altro, tutte le linee guida sconsigliano la cannabis come primo approccio.

Per tutto il resto non ci sono prove.

Negli adolescenti, inoltre, un uso continuativo può indurre sintomi psicotici e disturbi dell’ansia. Ancora: tra gli adulti, un terzo di coloro che fanno un uso regolare (soprattutto delle formulazioni a concentrazioni più elevate) può andare incontro a dipendenza e a malattie cardiovascolari, al punto che gli autori consigliano ai medici che volessero prescrivere cannabis di eseguire prima un attento screening cardiologico.

Tutto ciò, concludono gli autori, ricercatori dell’Università della California di Los Angeles, non esclude la possibilità che vi siano altre azioni benefiche, ma finora non ne sono mai state dimostrate altre in modo realmente convincente. Occorrono altri studi, se si vuole promuovere un uso diverso.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 9 dicembre 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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