IMMUNOPSICHIATRIA
Curare le infiammazioni
per frenare la depressione?

di Michela Perrone
Da una ventina d’anni esiste una branca della psichiatria che studia i legami tra cervello e sistema immunitario. I ricercatori hanno osservato che queste due "parti" del nostro corpo comunicano tra loro, dimostrando come uno stato infiammatorio (creato dal sistema immunitario) possa interferire con il sistema nervoso, portando a disturbi depressivi.
«La validazione dei meccanismi che abbiamo studiato è arrivata purtroppo con il Covid – afferma Francesco Benedetti, professore di psichiatria all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e direttore dell’Unità di ricerca in psichiatria e psicobiologia clinica dell’Istituto scientifico Ospedale San Raffaele, tra i massimi esperti italiani di immunopsichiatria. – Quando è arrivata la pandemia, noi abbiamo previsto che, data la tempesta citochinica e la spaventosa e perdurante infiammazione legata all’azione di questo nuovo virus, molte delle persone che avevano sofferto di questa infezione sistemica avrebbe sofferto anche di depressione. Abbiamo visto che circa il 30% di chi aveva sofferto di infezione da Covid ha poi sviluppano veramente nei 6 mesi successivi un episodio depressivo».
Negli ultimi anni i ricercatori hanno scoperto sorprendenti convergenze tra ogni nuova acquisizione scientifica in ambito immunopsichiatrico e quello che già si sapeva del malfunzionamento che caratterizza la condizione della depressione. «Sapevamo, per esempio - spiega Benedetti - che il sistema serotoninergico, quello cioè che funziona con il rilascio di serotonina nel cervello (la serotonina è un neurotrasmettitore che regola le emozioni e lo stato dell’umore, ndr), durante le fasi di depressione non funziona come dovrebbe. Ora abbiamo osservato che quando si ha un’infiammazione, si abbassa la serotonina e le persone di conseguenza hanno un maggior rischio di soffrire di depressione».
Questo vale non solo per tutte le malattie infiammatorie croniche (come le artriti o la psoriasi), ma anche per le condizioni infettive e per quella che un tempo veniva chiamata depressione endogena, cioè dovuta a cause interne, sconosciute.
La terapia ritenuta migliore, al momento, è quella che prevede di ottimizzare alcuni farmaci ad azione antidepressiva per potenziare i neurotrasmettitori che vengono indeboliti dagli stati infiammatori.
«Ma negli ultimi 5-6 anni - continua Benedetti - è stata studiata, contro la depressione, anche una via terapeutica molto diversa: quella, cioè, con molecole che abbiano come target proprio i meccanismi dell’infiammazione (e che dunque non intervengono direttamente sul cervello, come i tradizionali antidepressivi). Sono i cosiddetti farmaci biologici, che vanno a modulare l’attività del sistema infiammatorio e che al momento hanno fornito risultati molto promettenti». Questa classe di farmaci è in fase di sperimentazione e, dunque, non è ancora stata immessa sul mercato.
LA CRONOBIOLOGIA - Una nuova frontiera per il trattamento sia delle sindromi depressive post-Covid, sia della depressione in generale, è anche la cronobiologia. Si tratta di un insieme di terapie basate sulla manipolazione degli stimoli ambientali che regolano l’orologio biologico: la luce, il buio e il ritmo sonno-veglia. «Abbiamo visto - dice Benedetti - che agire su questi stimoli ha un effetto positivo anche sulle infiammazioni. La sincronizzazione dei ritmi ottenuta per esempio agendo sulla luce del mattino, esponendosi al sole durante la giornata e mantenendo un buon controllo del ritmo sonno-veglia aiuta a ridurre gli stati infiammatori e a guarire più rapidamente sia dalla depressione post-Covid, sia da quella in generale. Noi oggi, per esempio, abbiniamo l’utilizzo di lampade per la terapia della luce alla somministrazione di farmaci che riequilibrano i neurotrasmettitori. Abbiamo visto che in questo modo l’efficacia è potenziata».
Data ultimo aggiornamento 3 settembre 2022
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco