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Il verde urbano previene i ricoveri per malattie mentali: i dati di 20 anni di 7 paesi

Quando una città è più verde, in quello stesso centro diminuiscono i ricoveri per malattie mentali. Lo dimostrano i risultati di un grande studio condotto in sette paesi su dati relativi agli ultimi vent’anni, pubblicato sul British Medical Journal. In esso i ricercatori della Monash University di Adelaide, in Australia, hanno analizzato i dati relativi a 11,4 milioni di ricoveri per disturbi mentali registrati in 6.842 centri di sette paesi appunto (Australia, Brasile, Canada, Cile, Nuova Zelanda, Corea del Sud e Thailandia) nel periodo compreso tra il 2000 e il 2019, e li hanno messi in relazione con quelli della presenza di verde, misurata secondo un indice classico chiamato normalised difference vegetation index (NDVI), che fornisce misurazioni accurate perché basato sui dati satellitari. 

I risultati hanno mostrato una diminuzione del 7% delle ospedalizzazioni per qualunque causa, del 9% di quelle per abuso di sostanze, del 7% di quelle per crisi psicotiche e del 6% di quelle per demenza. Emergono poi differenze da paese a paese. Se in alcuni casi (Brasile, Cile e Thailandia) l’effetto protettivo è ad ampio spettro, su tutti i tipi di disturbi, in altri casi (Canada e Australia) è più forte in alcune tipologie di disturbi e più sfumato in generale. Non sembrano inoltre emergere limiti nell’effetto: più verde c’è e meglio è.

In numeri assoluti, significa che ogni anno, solo nei paesi studiati, si potrebbero evitare oltre 7.700 ricoveri. Inoltre, se il verde urbano aumentasse del 10%, si potrebbero prevenire da un’ospedalizzazione ogni 100.000 in Corea del Sud a 1.000 ogni 100.000 in Nuova Zelanda.

La conclusione non può che essere un invito, a chi progetta spazi urbani e pianifica nuove sistemazioni di aree all’interno delle città, a includere sempre la più vasta area possibile di vegetazione.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 28 novembre 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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