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Che cosa è andato storto
con il vaccino tedesco Curevac

di Agnese Codignola

È stata la grande delusione delle ultime settimane. Una notizia che ha rimesso in discussione i piani vaccinali europei, basati anche su questo vaccino per somministrare centinaia di milioni di dosi nei prossimi mesi. Il vaccino della tedesca Curevac, con sede a Tubinga, si è rivelato scarsamente efficace nel prevenire le forme gravi di infezione da Sars-CoV-2 (il coronavirus che provoca la malattia Covid-19), al di sotto della soglia del 50% (al 47%) fissata dalla maggior parte delle agenzie regolatorie come minima. E ora si cerca di capire che cosa sia successo, visto che, teoricamente, questo vaccino si basa sullo stesso principio – la somministrazione di RNA messaggero della proteina spike - di quelli risultati più potenti: Comirnaty (di Pfizer/BionTec) e Moderna.
Al tema sia la rivista Science, che Nature, hanno dedicato due articoli che giungono a conclusioni quasi identiche: le ipotesi sono diverse, anche se un argomento sembra molto più forte degli altri, e potrebbe essere cruciale per progredire, e arrivare comunque a un prodotto efficace.
I dati resi noti da Curevac sono basati sulla somministrazione del vaccino o di un placebo a un campione di 40.000 persone scelte per tre quarti in America Latina, e per il restante quarto in Europa. L’analisi di medio termine, chiamata ad interim, è stata fatta su 134 casi di persone che hanno contratto la malattia con sintomi: 88 nel gruppo trattato con un placebo, 46 in quello vaccinato.
L’esame delle sequenze dei virus di 124 malati ha svelato una delle possibili cause, cui l’azienda ha attribuito la responsabilità dell’insuccesso: sono state trovate 13 varianti del virus, mentre il vaccino è stato progettato contro il ceppo originale di Wuhan (la città cinese in cui per la prima volta è stato segnalato), presente solo nell’1% dei malati. La variante beta, cosiddetta sudafricana, era invece presente nel 41% dei campioni, mentre le altre erano variamente rappresentate.

L’argomento sembra però non essere sufficiente, per molti commentatori, perché tutti gli altri vaccini, pur risentendo di queste modifiche, in realtà si sono dimostrati efficaci anche contro le varianti, e non ci sono motivi per ritenere che il vaccino Curevac sia così diverso. Un altro aspetto critico è quello delle dosi, decisamente più basse rispetto agli omologhi vaccini a RNA. Se infatti Comirnaty contiene 30 microgrammi di mRNA a dose, e Moderna arriva a 100, Curevac si ferma a 12 microgrammi. Questa dose è stata stabilita dopo che le prime sperimentazioni avevano vagliato l’intervallo compreso tra 2 e 20 microgrammi, e avevano mostrato che i dosaggi più alti provocavano troppe reazioni. Ma potrebbe essere una quantità troppo bassa, e non in grado di indurre una produzione di anticorpi neutralizzanti sufficiente. Tuttavia, come hanno fatto notare in molti, i tre vaccini non sono esattamente sovrapponibili, come composizione: per questo ogni confronto di dosaggio è azzardato e probabilmente privo di fondamento.

Ulteriori problemi potrebbero essere nati sia da eventuali impurità, che dal fatto che questo vaccino è nato per essere conservato a temperatura più alta degli altri due: condizioni che potrebbero aver favorito la degradazione dei lotti. Ma anche questi sembrano argomenti poco convincenti, visto che quando si arriva a queste fasi delle sperimentazioni cliniche i quesiti tecnici, di norma, sono stati affrontati e risolti.

Resta il vero punto cruciale: l’approccio all’RNA. Se si è arrivati ai vaccini a mRNA è soprattutto grazie al lavoro di due ricercatori, Katalin Karikò, oggi vicepresidente di BionTech, e Drew Weissmann, oggi all’università della Pennsylvania di Filadelfia (Stati Uniti). Per decenni Karikò ha cercato il modo di veicolare l’RNA esogeno all’interno del corpo umano senza riuscirci, perché, dato così com’era, scatenava una potente infiammazione. Poi, anche grazie alla collaborazione con Weissman, e ai fondi assicurati da quest’ultimo, i due hanno capito che sarebbe bastato cambiare una sola base e inserire un uracile (uno dei “mattoni” dell’RNA) in una posizione specifica per non avere infiammazione, e mantenere l’efficacia. Per questo, sia Pfizer/BionTech che Moderna, si chiamano vaccini a mRNA modificato.
Ma Curevac ha usato un altro approccio: la somministrazione di RNA non modificato. Secondo diversi commentatori, questa potrebbe essere la causa del fallimento, anche se resta una tesi da dimostrare.
In ogni caso l’azienda ha già annunciato di essere al lavoro con la multinazionale GlaxoSmithKline, a sua volta impegnata nella sperimentazione di un vaccino a subunità realizzato con la francese Sanofi, per una versione aggiornata del suo vaccino a RNA naturale, che sarebbe dieci volte più potente del primo, in base a quanto osservato finora nei topi e nei primati. Le sperimentazioni nell’uomo dovrebbero iniziare entro la fine dell’anno.

È insomma presto per dire addio ai vaccini a RNA non modificato e, al contrario, lo stop potrebbe rivelarsi molto utile per giungere ai vaccini di seconda generezione.

Data ultimo aggiornamento 21 luglio 2021
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: • Covid, in arrivo una pillola capace di bloccare il virus


Tags: coronavirus, Covid-19



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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