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Farmaci biologici, ad alte dosi fanno crescere il rischio infezioni

I cosiddetti farmaci biologici utilizzati nella terapia dell’artrite reumatoide possono in alcuni casi essere associati a un rischio di contrarre gravi infezioni maggiore rispetto a quello corso da chi assume i più tradizionali DMARDs (Disease-Modifying Antirheumatic Drugs). A svelarlo è un’analisi pubblicata sulla rivista Lancet da un gruppo di reumatologi del Birmingham Veterans Affairs Medical Center di Birmingham, in Alabama (USA), che studiando i dati presenti nella letteratura medico-scientifica sono giunti alla conclusione che solo se utilizzati a bassi dosaggi i farmaci biologici non espongono a maggiori pericoli rispetto ai DMARDs. 

Le infezioni gravi rappresentano uno dei principali rischi delle terapie contro l’artrite reumatoide (che, per altri aspetti, hanno però consentito, negli ultimi anni, di migliorare in modo significativo la prognosi e le condizioni di vita dei pazienti). La motivazione risiede nel fatto che i farmaci attenuano le risposte immunitarie di chi li assume. Diversi studi sembravano suggerire che il pericolo corso dai pazienti fosse più elevato in caso di assunzione di farmaci biologici; proprio per chiarire questo punto gli autori dell’analisi pubblicata su Lancet hanno analizzato ben 106 studi clinici, giungendo alla conclusione che l’assunzione dei farmaci biologici a dosi standard o elevate comporta davvero un rischio maggiore di infezioni rispetto ai DMARDs.

Scendendo nei dettagli dell’analisi, l’aumento di infezioni gravi è stato quantificato in 6 ogni mille pazienti per i farmaci biologici assunti in dosi standard e in 55 ogni mille pazienti se la terapia prevedeva una combinazione di più farmaci biologici. Inoltre il rischio è risultato inferiore nelle persone che non erano mai state sottoposte a un trattamento con farmaci immunosoppressori (DMARDs o biologici).

Sulla base di questi risultati gli autori consigliano ai medici di valutare con attenzione le dosi e le combinazioni di farmaci in base alla situazione di ogni paziente, e di discutere con lui anche i possibili rischi dei percorsi terapeutici proposti.’

A.B.
Data ultimo aggiornamento 28 luglio 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: artrite reumatoide, DMARDs, farmaci biologici, infezioni, terapie immunosoppressive



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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