CORONAVIRUS
È il pangolino l’animale
che ha “incubato” il Covid-19?

di Agnese Codignola
Nelle prime ipotesi erano i serpenti, gli animali sospettati. In uno studio pubblicato frettolosamente da alcuni ricercatori cinesi, infatti, era stata avanzata l’ipotesi che fosse la carne di serpente venduta illegalmente al mercato di Wuhan ad aver innescato il passaggio di specie del COVID-19. Ipotesi prontamente smentita, sia perché i primi pazienti non erano stati in quel mercato (secondo la rivista scientifica Lancet il primo in assoluto, segnalato all’inizio di dicembre, non viveva neppure in zona), sia perché lì non c’era ufficialmente carne di serpente in vendita. Non solo. Pochi giorni dopo, era stato pubblicato un parere di autorevoli esperti, su Nature, che individuava nel pipistrello la più probabile fonte primaria del coronavirus, nella fattispecie un betacoronavirus. In particolare, i ricercatori avevano riferito di un insediamento di pipistrelli molto popoloso nello Yunan e noto perché i suoi membri ospitano diverse specie di coronavirus del tutto simili a quella passata all’uomo. Mancava, però, l’animale-ponte, cioè l’animale che sarebbe stato infettato dai pipistrelli, teoricamente non in vendita a Wuhan e neppure consumati dalla popolazione in altre forme.
Ora c’è un sospettato, il pangolino, piccolo mammifero insettivoro che detiene un triste primato: è l’animale più venduto illegalmente al mondo, nonostante il commercio sia vietato ovunque per l’alto rischio di estinzione. Purtroppo, però, è considerato un’assoluta prelibatezza in molti Paesi orientali, a cominciare proprio dalla Cina, dove è molto utilizzato anche nella medicina tradizionale (il primo studio pubblicato su Nature a questo proposito è del 1938), e per questo è oggetto di un mercato molto attivo che non risparmia nessuna delle otto specie note, tutte protette dal 2016 con la convenzione internazionale CITES. È stato stimato che tra il 2000 e il 2013 siano stati venduti più di un milione di pangolini, soprattutto in Cina. Inoltre tra il 2016 e il 2019 ne sono state individuate 206 tonnellate sul mercato illegale in 52 operazioni della polizia cinese, e nel mese di dicembre 10 tonnellate sono state scoperte a Wenzhou, nella provincia di Zhejiang. Numeri che costituiscono una prova indiretta di quanto, al di là dei divieti, sia florido il commercio di queste specie.
A puntare il dito su di esso è ora la stessa Cina, attraverso la sua agenzia di stampa ufficiale China News Service. In un comunicato l’agenzia afferma che i ricercatori cinesi hanno verificato oltre mille specie, e trovato che il coronavirus presente nei pangolini è il più vicino (simile al 99%) a quello passato all’uomo, anche se ci sono 3.000 differenze genetiche non meglio specificate, per ora. Ciò non significa che l’origine sia sicura – ha precisato l’agenzia con una prudenza che sembra risentire dei tanti errori di comunicazione fatti nelle scorse settimane - ma solo che, a oggi, lo scenario più plausibile è quello di un passaggio dai pipistrelli al pangolino e da questo all’uomo. La ricerca, per ora, è apparsa solo sul sito della South China Agricultural University, e non ancora su una rivista internazionale accreditata. Questo ha provocato un certo scetticismo da parte della comunità scientifica.
Non è neppure chiaro se la carne di pangolino fosse in vendita al mercato di Wuhan, così come non è mai stato dimostrato con certezza se vi fosse o meno quella di pipistrello, proprio perché il mercato illegale è difficile da tracciare, ma è importante ricostruire nel dettaglio la catena degli spillover (cioè dei salti di specie), per cercare di prevenire i prossimi. Nel caso dell’infezione da coronavirus SARS del 2003, per esempio, mesi dopo si è scoperto che l’animale intermedio era un tipo di civetta delle palme comune (Paradoxurus hermaphroditus), che non è affatto una civetta ma un carnivoro non troppo lontano dal pangolino, mentre in quella sempre da coronavirus chiamata MERS, che colpì soprattutto il Medio Oriente nel 2012, gli ospiti intermedi erano stati i cammelli. I pipistrelli funzionano spesso da serbatoio primario, perché hanno un sistema immunitario che consente loro di non ammalarsi. Ma quando da questi si passa ad altri animali, la situazione si complica, e si fa più pericolosa.
Il 30 gennaio la Cina ha varato norme molto più severe di quelle precedenti sul commercio illegale di animali non solo nei mercati ma anche nei ristoranti, e il 10 febbraio ha annunciato una stretta ulteriore, volta a sradicare definitivamente questo tipo di vendite, unico provvedimento che può davvero limitare questo tipo di rischi anche per il futuro.
Nel frattempo, la caccia all’animale untore è ancora aperta.
Data ultimo aggiornamento 24 febbraio 2020
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