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Un esame delle feci potrebbe rivelare in anticipo la presenza di un’endometrosi

La diagnosi di endometriosi, che oggi arriva in media dopo sette anni di esami spesso errati e talvolta invasivi, in futuro potrebbe essere fatta con una semplice analisi delle feci. Uno studio pubblicato su Med dimostra infatti che, nelle donne colpite dalla malattia – che provoca dolore, cicli mestruali molto abbondanti e talvolta infertilità – il microbiota intestinale ha un aspetto molto specifico, per quanto riguarda la composizione e la presenza relativa delle diverse specie. E c’è di più: grazie ai test effettuati, gli autori, ricercatori del Baylor College di Houston (Texas), hanno anche identificato una sostanza che potrebbe essere utilizzata a scopo terapeutico.

Nello studio sono state analizzate le feci di 18 pazienti e 31 donne senza endometriosi, e il risultato è stato che chi ha l’endometriosi ha anche un assortimento molto riconoscibile del microbiota. Inoltre, ha una quantità inferiore alla media di 4-idrossi-indolo, una sostanza prodotta dalle specie batteriche “positive” che, oltretutto, potrebbe diventare la base di una nuova terapia. Infatti, se si somministra 4-idrossi-indolo ai modelli animali di endometriosi di ottengono benefici immediati, in termini di minore infiammazione, dolore meno intenso, diminuzione delle lesioni già presenti e rallentamento della crescita del tessuto.

Infine, la “firma” del microbiota di chi soffre di endometriosi è simile a quella di chi ha un colon irritabile, e questo suggerisce possibili legami tra le due condizioni, ancora tutti da esplorare. 

Se gli studi confermeranno quanto osservato, presto ci potrebbe essere un test del tutto non invasivo, da fare anche a casa, per confermare il sospetto di endometriosi, e intervenire prima possibile con le cure disponibili. Tra le quali potrebbe esserci anche il 4-idrossi-indolo, o un suo derivato.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 22 ottobre 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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