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Lupus, è colpa di un’infezione?

E se il lupus eritematoso sistemico, la malattia multiorgano scatenata da una reazione autoimmune, fosse l’esito di una grave infezione in soggetti predisposti a svilupparla? L’ipotesi che all’origine non solo di questa, ma anche di altre malattie autoimmuni, ci possa essere un’infezione è nell’aria da anni, e gli indizi a suo favore sono molti. Ma ora uno studio pubblicato sulla rivista Immunity da un gruppo di ricercatori della Temple University di Filadelfia (USA), guidato dall’italiana Stefania Gallucci, la rinforza, offrendo una possibile spiegazione alla base del fenomeno.

Tutto nascerebbe dal fatto che a 10-15 ore dal loro insediamento nell’organismo, diversi tipi di batteri formano un rivestimento impenetrabile, costituito da proteine e zuccheri - il biofilm - contro cui le difese immunitarie sono poco efficaci. Per creare il biofilm i batteri secernono frammenti di DNA e proteine - le cosiddette amiloidi - che si legano fortemente con i frammenti di DNA stesso. Il sistema immunitario tenta di sciogliere tali legami utilizzando le cellule denditriche e aumentando in modo massiccio la produzione di una molecola (citochina) particolare, l’interferone alfa. Lo scopo è cercare di aggredire i complessi amiloide-DNA con una forte risposta infiammatoria, ma in realtà i legami che li tengono uniti sono molto difficili da sciogliere anche con potenti solventi o enzimi, e il risultato sarebbe ben diverso dall’atteso. La produzione di interferone sarebbe infatti talmente elevata da innescare, in persone predisposte, una reazione autoimmune.

Nel loro studio Gallucci e collaboratori sono partiti da colonie di Salmonella e del batterio Escherichia coli presenti nell’intestino, hanno isolato i complessi amiloide-DNA e li hanno somministrati a dei topi. E’ stato così confermato che, in animali geneticamente predisposti, i complessi scatenano una reazione autoimmune in sole due settimane. 

Al momento gli aspetti da chiarire restano ancora molti. Tuttavia, se questo meccanismo fosse confermato, la sua scoperta potrebbe aiutare a comprendere meglio - e forse anche a curare - molte malattie in cui sono coinvolte le proteine amiloidi, come Alzheimer, Parkinson, diabete di tipo 2 e alcune patologie autoimmuni.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 23 luglio 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: cellule dendritiche, interferone alfa, LES, lupus eritematoso sistemico



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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