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L’attività fisica previene e cura infarti, dipendenze, demenze e anche brain fog

L’attività fisica migliora le condizioni delle persone che soffrono delle più diverse patologie, come dimostrano alcuni studi usciti nelle ultime settimane. Malattie cardiovascolari, effetti collaterali delle terapie oncologiche, alcolismo e demenze sono infatti tra le condizioni che ottengono benefici misurabili, e non di poco conto.

Per quanto riguarda il cuore e i vasi, uno studio dello University College di Londra, pubblicato su Circulation, e condotto su oltre 14.700 persone di cinque paesi, ha infatti mostrato che anche solo sostituire cinque minuti di sedentarietà al giorno con altrettanti di un’attività fisica moderata quale la salita di scale, la bicicletta o una breve corsa fa scendere la pressione sistolica di 0,68 millimetri di mercurio (mm Hg), e quella diastolica di 0,54 mm Hg. Il che, in termini di rischio, corrisponde a una diminuzione del 10%. E più l’attività aumenta, di intensità e frequenza, maggiori sono i benefici.

Nell’ambito oncologico, oltre agli effetti positivi sull’umore e sulla funzionalità motoria, uno studio condotto in Canada mostra invece gli effetti positivi che si ottengono sul cosiddetto chemobrain, l’annebbiamento mentale che spesso colpisce chi viene sottoposto a una chemioterapia. In questo studio, pubblicato su Cancer, 57 donne con tumore al seno sono state invitate a seguire un programma di 12—24 settimane di ginnastica aerobica, da iniziare insieme alla chemioterapia oppure alla sua conclusione, e alla fine si è visto che le prime avevano avuto un chiaro miglioramento dell’annebbiamento mentale o brain fog, rispetto alle seconde. L’attività aerobica può essere quindi un valido strumento per contrastare il chemobrain, e andrebbe sempre consigliata.

Notevole poi l’efficacia tra chi ha avuto una diagnosi di demenza, oggetto di uno studio pubblicato su British Journal of Sports Medicine. Stando a quanto riportato da ricercatori coreani, infatti, e basato su dati delle cartelle cliniche, e quindi ufficiali, l’attività fisica regolare sarebbe in grado di prevenire i decessi e allungare la sopravvivenza. In questo caso sono stati analizzati i dati di oltre 60.000 persone con Alzheimer o demenza vascolare diagnosticata tra il 2010 e il 2016, e si è visto che, tra chi praticava sport regolarmente, i decessi erano stati di meno. Rispetto a chi non faceva alcuna attività, chi si muoveva aveva avuto una diminuzione del rischio di morte del 30%, con una relazione diretta tra l’intensità dell’esercizio e la sua regolarità: aggiungere anche pochi minuti al giorno di camminata o 100 metri di percorso aveva avuto immediate e positive ripercussioni.

Infine, praticare sport aiuta anche a combattere la dipendenza dall’alcol, come dimostra una metanalisi di 17 studi che hanno coinvolto oltre 1.900 pazienti, uscita su PLoS One. I risultati mostrano che muoversi riduce la dipendenza dall’alcol e migliora le condizioni psicofisiche di chi combatte con il bicchiere in misura molto significativa.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 27 novembre 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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