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Eradicare l’helicobacter pylori vuol dire anche diminuire il rischio di tumore gastrico

Curare l’infezione da helicobacter pylori, giungendo se possibile all’eradicazione, significa abbassare il rischio di sviluppare un tumore dello stomaco a esso associato anche del 20%. E questo dimostra che avviare campagne di screening di popolazione per la presenza del batterio, e garantire a tutti una cura che dura una decina di giorni, si tradurrebbe in grandi vantaggi per i singoli, e anche per i sistemi sanitari.

Il legame tra l’elicobatterio, scoperto nel 1982 da Robin Warren e Barry Marshall, che per questo vinsero il premio Nobel nel 2005, e il carcinoma gastrico, è noto da tempo ed è stato ufficializzato nel 2004 dall’International Agency for the Research on Cancer dell’OMS di Lione. Tuttavia, i dati sull’efficacia delle terapie antibiotiche rispetto al rischio oncologico non sono mai stati del tutto chiari. A segnare un punto di svolta potrebbe essere ora uno studio pubblicato su Nature Medicine dai ricercatori del Peking University Cancer Hospital & Institute di Beijing, in Cina, nel quale sono riportati i risultati ottenuti su oltre 180.200 persone seguite per una media di 11,8 anni. I partecipanti, che abitavano in 980 villaggi, sono stati inizialmente selezionati per la presenza di helicobacter, e poi sottoposti a una terapia specifica, protratta per dieci giorni (con 20 milligrammi (mg) di omeprazolo per ridurre la secrezione acida, 750 mg di tetraciclina, 400 mg di metronidazolo e 300 mg di citrato di bismuto per combattere l’infezione), oppure a una terapia sintomatica, per contrastare solo i sintomi (con omeprazolo e citrato di bismuto, senza gli antibiotici). Durante il periodo di osservazione, protrattosi per quasi 12 anni, tra di loro si sono verificati poco più di mille casi di tumore dello stomaco, ma distinguendo tra chi era stato curato e chi no è emerso che i primi avevano avuto una diminuzione del rischio del 14%, che saliva al 19% se c’era stata l’eradicazione del batterio, cioè la sua totale scomparsa. Gli effetti collaterali sono stati rari, e mai gravi. Per questo, verificare la presenza del batterio e, in caso di positività, cercare di eradicarlo, potrebbe essere una strategia da promuovere anche su larga scala per prevenire i tumori dello stomaco.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 16 agosto 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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