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Gli oppiacei erano ampiamente utilizzati
in tutto il Medio Oriente e nell’antico Egitto

Nell’antico Egitto, e probabilmente in tutto il Medio Oriente, si faceva uso di oppiacei, e non solo a scopo medicinale ma anche religioso e ricreativo, probabilmente su base regolare. La conferma arriva dall’analisi di un vaso in alabastro conservato presso il Peaboy Museum dell’Università di Yale, istituzione che ha raccolto oltre 40.000 pezzi antichi a partire dal 1911, che ora i ricercatori dello Yale Ancient Pharmacology Program (YAPP) stanno studiando per comprendere le abitudini degli antichi.

Il vaso in questione, ottenuto dalla stessa cava dalla quale provengono numerosi manufatti trovati nella tomba di Tutankhamun, reca un’iscrizione in quattro lingue: accadico, elamita, persiano ed egizio dedicata a Serse I, che governò l’impero achemenide tra il 486 e il 465 a.C. e che, dalla sede in Persia, regnava su Egitto, Mesopotamia, Medio Oriente, Anatolia, parte della penisola Arabica e dell’Asia centrale. Inoltre, ha una seconda iscrizione in demotico, la versione popolare e più rapida dell’egizio, che indica l’altezza (circa 22 centimetri). Questo vaso è rarissimo: si stima che nel mondo ve ne siano non più di dieci intatti e con le iscrizioni, e per questo ha attirato l’attenzione dei ricercatori, che hanno voluto analizzare i residui bruni che si trovavano all’interno. Hanno così identificato alcuni dei principali marcatori degli oppiacei, e cioè la papaverina, la noscapina, la morfina, l’idrocotarnina e la tebaina, confermando che quel vaso conteneva appunti oppiacei. Il riscontro ne conferma altri su residui trovati in vasi egizi e ciprioti tra i quali quelli rivenuti in una tomba di una famiglia di mercanti trovata vicino al Cairo e risalente al Nuovo Regno (tra il XVI e l’XI secolo a.C.) e conferma ciò che vide anche il chimico della spedizione che scoprì la tomba di Tutankhamun: la maggior parte dei residui trovati nei recipienti non era di profumi o unguenti cosmetici, ma di altro (che all’epoca non fu possibile identificare). Probabilmente tra iu vasi della tomba ci sono quelli che contenevano oppiacei, ma la conferma potrebbe arrivare solo con uno studio specifico (i reperti al momento sono quasi tutti al museo del Cairo e non sono stati analizzati da questo punto di vista).

Come sottolineato nello studio, pubblicato sul Journal of Eastern Mediterranean Archaeology con numerose foto, la scoperta, insieme a quelle degli anni precedenti, coprono una vasta area geografica e un periodo di tempo di almeno mille anni. Il che suggerisce, insieme a testmonianze in diverse fonti documentali, che l’uso degli oppiacei fosse comune in tutta la zona, e non solo per fini medici.


Data ultimo aggiornamento 17 dicembre 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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