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Così l’alcol abbatte anche le difese immunitarie

Diverse ricerche confermano: l’abuso di bevande alcoliche ha un effetto inibitorio immediato sul sistema difensivo dell’organismo, rendendo più facili le infezioni. Se il consumo massiccio diventa un’abitudine, aumentano le infiammazioni

di Giulia Fretta

Dati clinici e sperimentali portano alla conclusione che l’alcol possa agire potentemente sul sistema immunitario, indebolendolo e alterandolo. La conferma arriva anche da uno studio eseguito dai ricercatori della Loyola University di Chicago (Stati Uniti) e pubblicato sulla rivista Alcohol. Gli studiosi hanno chiesto a otto donne e sette uomini di bere quattro dosi medie di vodka, e sono andati poi a misurare nel loro sangue (dopo 20 minuti, dopo due ore e dopo cinque) la concentrazione di alcune cellule importanti del sistema immunitario, quali i monociti, i linfociti T e i linfociti Natural Killer, nonché la concentrazione di alcune citochine (molecole tipiche degli stati infiammatori). Ebbene, all’inizio le difese dell’organismo sono apparse attivate, ma ai successivi controlli i ricercatori hanno misurato un’attenuazione dei meccanismi immunitari, con un quadro tipico di una risposta non adeguata a eventuali “attacchi” di batteri o virus. 

Da tempo si sa che l’abuso di alcol (le dosi massime consigliate sono un bicchiere di vino a pasto, per gli uomini, e un bicchiere di vino al giorno per le donne) porta a una ridotta difesa e a un’inappropriata risposta immunitaria nei confronti dei patogeni invasivi, il che comporta il rischio di una maggiore incidenza di infezioni, oltre a un aumento del tempo di guarigione. Ma non basta. «L’abuso cronico di alcol - spiega Fabio Grassi, direttore di laboratorio all’Istituto di Ricerca in Biomedicina di Bellinzona - determina un accumulo di lipidi (cioè di grassi) fra le cellule dei fegato, con conseguente steatosi epatica (una malattia che, alla lunga, provoca la morte delle cellule stesse, n.d.r.) e con danni anche gravi. In seguito all’accumulo dei grassi, infatti, le cellule di Kupffer (un tipo particolare di cellule del sistema immunitario) diventano ipersensibili ad alcune sostanze e producono quantità eccessive di molecole come le citochine o il fattore di necrosi tumorale-alfa, che causano infiammazione e necrosi del fegato. Il recettore che sembra avere un ruolo cruciale nell’attivazione pro-infiammatoria delle cellule di Kupffer nell’alcolismo - aggiunge Grassi - viene chiamato “Toll-like receptor” 4 (TLR4).  Ma l’abuso di alcol peggiora anche tutti i tipi di epatite virale, soprattutto le infezioni croniche da virus dell’epatite B e C (HCV)».  

Persino un singolo episodio di abuso pesante o moderato di alcol sarebbe in grado di  originare un’alterazione della normale risposta immunitaria. Consumi acuti oppure cronici hanno, come accennavamo, effetti opposti sull’attivazione dell’infiammazione della cellula: l’uso acuto di alcol ha un effetto inibitorio (con una risposta inadeguata verso i patogeni invasivi), mentre l’uso cronico porta a un aumento della risposta infiammatoria, con i problemi relativi.

«L’eccessivo consumo cronico di alcol - conferma Fabio Grassi - è associato a un’aumentata incidenza di infezioni polmonari da vari microrganismi (Steptococcus pneumoniae, Klebsiella pneumoniae, Haemophilus influenzae, Legionella pneumophila e altri batteri Gram-negativi) e alla predisposizione allo sviluppo di tubercolosi. Le cause di questa suscettibilità a infezioni polmonari sembrano essere la ridotta capacità dei fagociti (cellule importanti del sistema immunitario) e la ridotta “produzione” di ione superossido da parte dei macrofagi alveolari e dei neutrofili (altre cellule del sistema immunitario, n.d.r.). Infine, l’alcol riduce la rigenerazione dei globuli bianchi da parte del midollo osseo, determinando un’aumentata suscettibilità alle infezioni non solo polmonari da patogeni quali Salmonella e Listeria monocytogenes, la cui infezione può evolvere a sepsi o meningite con esito infausto». 

Ma gli effetti dell’abuso di alcol non si fermano qui, perché un eccesso di questa sostanza nel sangue altera anche la produzione dei globuli rossi e l’aggregazione delle piastrine: effetti temporanei, che regrediscono con l’astinenza, ma che, nel tempo, possono facilitare la comparsa di infezioni e tumori.’

Data ultimo aggiornamento 30 agosto 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: fegato, infezioni



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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