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Una molecola può frenare
lo scompenso del fegato

Per ora si tratta di risultati ottenuti sugli animali, ma se si avranno conferme anche negli uomini, la terapia per le persone con grave scompenso epatico potrà diventare molto più efficace di quella attuale, grazie a una stimolazione del sistema immunitario.
Lo scompenso epatico è un danno causato dall’evoluzione delle patologie croniche del fegato come la cirrosi, oppure da intossicazioni da farmaci, alcol e droghe. Può nascere anche in seguito a interventi chirurgici (ad esempio per asportare un tumore), ed è una condizione che può diventare anche molto grave, perché porta in alcuni casi alla sepsi, cioè all’infezione generalizzata dell’organismo.
Di norma si cura con il trapianto del fegato, quando possibile, ma se la sepsi è già iniziata, il trapianto non è più praticabile e, in quel caso, ci sono poche speranze di non soccombere alle infezioni. Gli epatologi e immunologi dell’Università di Edimburgo (Scozia) hanno però osservato un dato: tra i malati, coloro che hanno livelli più alti di CSF-1 (Colony Stimulating Factor 1), una sostanza che modula il sistema immunitario (in particolare arruolando un’altra popolazione di agenti difensivi, i macrofagi), e promuove la rigenerazione del fegato danneggiato, resistono meglio alle infezioni. Hanno così provato a dare CSF-1 agli animali da esperimento, e ottenuto gli stessi risultati, illustrandoli poi sulla rivista Gastroenterology.

Gli studiosi stanno ora pianificando i primi test sull’uomo, e ritengono che in ogni caso il dosaggio del CSF-1 nei malati possa diventare, fin da ora, un valido marcatore dell’andamento della terapia, utile per impostare cure più aggressive nei malati maggiormente a rischio.’


Data ultimo aggiornamento 27 settembre 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: macrofagi



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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