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Autismo, occhi puntati sui virus in gravidanza

Secondo i ricercatori del MIT di Boston, in alcuni casi un’infezione potrebbe innescare l’incremento di una molecola, l’interleuchina 17a, che a sua volta favorirebbe un "disordine genetico" nel feto, all’origine delle sindromi autistiche

L’autismo potrebbe essere la conseguenza di una reazione immunitaria a un’infezione contratta in gravidanza. Quest’ipotesi, pubblicata sull’autorevole rivista Science dai ricercatori del Massachusetts Institute of Technology di Boston (Stati Uniti), aiuterebbe i neurologi - se confermata - a individuare le cause (o, almeno, le con-cause) di una malattia che a tutt’oggi appare per molti aspetti misteriosa. 
L’autismo fa parte di quelli che vengono definiti "disturbi pervasivi dello sviluppo" e si manifesta, in genere, entro i primi tre anni di vita con sintomi variegati, ma che hanno una serie di caratteristiche in comune. I pazienti, innanzitutto, non parlano (perché non vogliono, o perché non sono in grado di farlo), oppure si esprimono soltanto con frasi molto brevi e secche. In più, le persone malate di autismo non dialogano nemmeno con il linguaggio del corpo, o con gli sguardi, e non riescono a entrare in empatia con il mondo che li circonda (per esempio, non ridono, di fronte a uno stimolo ritenuto divertente da tutti gli altri, oppure non piangono, non partecipano alle sensazioni e alle emozioni di chi sta accanto a loro). Spesso hanno attacchi di rabbia, o di forte aggressività. Al contrario, in altri momenti si "cullano" da soli e rivelano comportamenti molto ripetitivi.

Di fronte a questo "rebus", che solo una sessantina di anni fa è stato codificato con la parola autismo, i ricercatori hanno saputo dare, finora, poche risposte, per quanto riguarda le possibili cause. Si parla di un "disordine genetico", che si manifesterebbe nei primi mesi della gravidanza e danneggerebbe alcune aree cerebrali (in particolare, il cervelletto e i neuroni specchio), ma restano sconosciuti i motivi che porterebbero a questi "errori". Si era parlato di un effetto non voluto dei vaccini, ma nessuno studio, finora, è riuscito a dimostrare questa correlazione, con criteri scientificamente validi e accertabili.  

Ora il lavoro dei ricercatori del MIT di Boston, sia pure eseguito solo sugli animali da laboratorio, prova a portare nuova luce su questa malattia. Gli studiosi americani hanno infettato con un virus alcune femmine di topo durante la gravidanza, e hanno visto che l’infezione ha fatto aumentare il rilascio di una molecola legata all’infiammazione (l’interleuchina 17a), nelle zone frontali della corteccia cerebrale dei feti. L’incremento dell’interleuchina, a sua volta, ha "disorganizzato" lo sviluppo dei piccoli, fino a dare un quadro che ricorda molto quello degli autistici. La prole nata da queste madri ha mostrato, in effetti, segni paragonabili a quelli dell’autismo.

La riprova del ruolo dell’interleuchina 17a è poi venuta dall’utilizzo di due tipi di farmaci in grado di bloccare questa molecola: quando sono stati somministrati alle madri prima dell’infezione, hanno protetto i loro piccoli, che sono nati senza mostrare i segni dell’autismo.

È troppo presto, naturalmente, per affermare che un’infezione virale durante le prime fasi della gravidanza possa essere considerata la causa dell’autismo, ma se i risultati dei ricercatori di Boston verranno confermati anche sugli esseri umani, si potrà aprire una strada importante per la diagnosi e la cura di questa malattia. 

A.B.
Data ultimo aggiornamento 11 febbraio 2016
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: autismo, interleuchina 17a



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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