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Tumore all’orofaringe,
gli anticorpi facilitano la prognosi

In caso di tumore all’orofaringe la presenza di anticorpi contro il ceppo 16 del papillomavirus umano (HPV16) è associata a una prognosi migliore. A dimostrarlo, identificando anche quali fra gli anticorpi contro l’HPV16 potrebbero essere utilizzati come marcatori di questa migliore prognosi, sono i ricercatori dell’MD Anderson Cancer Center (Houston, Texas), del Biodesign Institute (Tempe, Arizona) e del Tisch Cancer Institut (New York). In uno studio pubblicato sulla rivista Clinical Cancer Research gli scienziati statunitensi suggeriscono inoltre che l’analisi della presenza di questi anticorpi potrebbe essere utilizzata per programmare meglio le terapie cui sottoporre i pazienti.

Il tumore dell’orofaringe si sviluppa nella parte posteriore della gola. Gli autori di questo studio sapevano già che quando è associato a un’infezione da HPV16 la sua prognosi è migliore. Data l’esigenza di identificare marcatori che aiutino i medici a mettere a punto terapie personalizzate, i ricercatori hanno pensato di sfruttare questa associazione verificando se la prognosi migliore corrispondesse anche alla presenza di specifici anticorpi contro l’HPV16.

Per farlo hanno analizzato il sangue di oltre 200 pazienti non ancora in terapia, di cui circa la metà aveva a che fare con un’infezione da HPV. La loro attenzione si è concentrata in particolare sugli anticorpi E1, E4, E5, E6, E7, L1, L2 e diversi sottotipi di E2, tutti associati al ceppo 16 dell’HPV. Lo studio ha inoltre previsto il monitoraggio dello stato di salute dei partecipanti.

Dall’analisi dei dati raccolti è emerso che alla presenza di anticorpi specifici anti-HPV16 corrisponde un miglioramento dei parametri associati alla malattia. In particolare, la percentuale di pazienti che dopo 5 anni non mostrano segni di recidiva è pari all’82,9%, percentuale ben più elevata rispetto al 46,1% rilevato fra i pazienti in cui questi anticorpi sono assenti. Non solo, in presenza degli anticorpi la sopravvivenza a 5 anni passa dal 42,2% all’87,4%. 

Al momento non è chiaro il motivo per cui la presenza di questi anticorpi corrisponda ad una sorta di protezione contro il cancro. Gli studi stanno proseguendo sia per gettare luce su questo aspetto, sia per chiarire se questo stesso effetto possa essere ottenuto con una vaccinazione contro l’HPV che induca la produzione di questi anticorpi. Ciò di cui i ricercatori sembrano invece già abbastanza sicuri è che rendere l’analisi della presenza di questi anticorpi un test di routine dopo la diagnosi di tumore all’orofaringe potrebbe aiutare a indirizzare sin da subito la terapia verso protocolli più o meno aggressivi e mirati. 

A.B.
Data ultimo aggiornamento 1 luglio 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: anticorpi, HPV



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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