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Test semplicissimi potrebbero permettere
di diagnosticare l’autismo nei neonati

Se quanto riportato dai neonatologi della Rutgers University di PIscataway, in New Jersey, su PNAS Nexus dovesse trovare conferme, la diagnosi di autismo potrebbe essere finalmente anticipata alle prime settimane di vita, cambiando radicalmente l’evoluzione della malattia. 

Oggi infatti l’età media in cui arriva la prima diagnosi è tra i 3 e i 4,5 anni di età, ma a quel punto il cervello ha già cercato di compensare ciò che manca o che non è organizzato come nei bambini normodotati, creando circuiti alternativi, e per questo è molto difficile e complesso indirizzare lo sviluppo, per quanto possibile, verso una certa normalità. Se invece tutto fosse anticipato ai primi giorni di vita, quando il cervello è ancora estremamente plastico, la situazione sarebbe molto diversa.

Nel tentativo di mettere a punto un test, i neonatologi ed esperti di scienze cognitive della Rutgers hanno quindi combinato una serie di esami tutti già esistenti e a buon mercato (oltreché, naturalmente, semplici da applicare e del tutto innocui) e dimostrato che, nel loro insieme, essi permettono una diagnosi senza ambiguità. In particolare, hanno valutato le onde cerebrali che di solito di analizzano per verificare l’eventuale presenza di sordità, e si sono accorti che nei bambini destinati a diventare autistici esiste un nettop ritardo, di circa 1,76 millisecondi (in una scala che valuta i microsecondi, cioè intervalli mille volte più piccoli), nell’elaborazione del suono da parte del cervello, rispetto a quanto si vede nei neonati normofunzionali. Ciò non stupisce, perché quello che è difettoso, negli autistici, è innanzitutto il sistema di elaborazione degli stimoli sensoriali, ma nessuno, finora, aveva pensato di ricorrere a questo parametro. Se poi si unisce a queste misurazioni (ottenute facendo schioccare un click mentre il neonato dorme, e registrando con un elettrodo soffice che cosa accade nelle aree cerebrali specifiche) la valutazione clinica che di solito si effettua mesi dopo, proprio per l’autismo, e che analizza i movimenti a scatto, il quadro diventa molto chiaro. 

Il test che combina queste misurazioni, digitalizzato, è stato verificato su tre coorti di bambini: una di oltre 187.000 neonati sani, una di 54 neonati che in seguito avevano ricevuto una diagnosi, e una di una sessantina bambini un più grandi, di età compresa tra 1,8 e 6,9 anni, e i risultati hanno confermato che questo potrebbe essere un valido strumento di screening neonatale, da affiancare agli altri. Se diventasse un esame di routine, il destino di molti autistici, soprattutto quelli che hanno un disturbo più lieve (l’autismo è in realtà uno spettro di malattie a diversi livelli di gravità), potrebbero essere intercettati per tempo, e avviati a programmi specifici capaci di limitare i danni, o di compensarli nel modo migliore.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 25 febbraio 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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