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Spondilite anchilosante,
il rischio non è solo nei geni

La predisposizione alla comparsa della spondilite anchilosante, malattia infiammatoria autoimmune che colpisce le articolazioni, è stata associata ormai più di trent’anni fa a una specifica variante di un gene del sistema immunitario. I fattori di rischio che contribuiscono allo sviluppo della malattia sono però anche altri, e uno studio presentato dai reumatologi della svedese Sahlgrenska Academy al congresso della European League Against Rheumatism di Roma ha permesso di individuarne ben tre: il basso peso alla nascita, il fatto di avere fratelli maggiori e aver contratto, da giovani, gravi infezioni.

I dati raccolti ottenuti studiando vasti gruppi di pazienti e di individui sani hanno infatti svelato che per i portatori della variante genetica associata alla spondilite anchilosante pesare alla nascita meno di 3 chilogrammi corrisponde a correre un rischio di sviluppare la malattia superiore del 18% rispetto alla popolazione generale, contro il 15% di rischio in più corso da chi nasce normopeso. Analogamente, avere fratelli maggiori corrisponde a un incremento di rischio del 63% (contro l’aumento del 58% di chi non ne ha). L’aumento è stato infine rilevato anche per chi è stato ricoverato a causa di infezioni nella fascia d’età tra i 5 e i 12 (5% contro il 3% dei bambini non ricoverati) e tra i 13 e i 16 anni (con un aumento del rischio che passa dall’1% al 2%).

Secondo gli autori è importante identificare i fattori di rischio che, combinati alla predisposizione genetica, possono favorire lo sviluppo della malattia. In questo modo potrebbe infatti essere possibile predisporre per tempo strategie terapeutiche adeguate e programmare controlli tempestivi che aiutino a non ritardare la diagnosi.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 16 giugno 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: cause, spondilite anchilosante



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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