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Nuovo farmaco contro la proteina che "attiva" il morbo di Crohn

di Agnese Codignola

Nel morbo di Crohn le infiammazioni dell’intestino sono causate, fra gli altri fattori, da un insufficiente livello di una sostanza importante per la modulazione dei fenomeni infiammatori, la citochina chiamata Transforming Growth Factor beta 1 o TGF  beta 1. La carenza di questa molecola – si è scoperto negli ultimi anni - è da attribuire all’innalzamento anomalo di una proteina chiamata SMAD7 (innalzamento che si verifica per motivi ancora non del tutto chiari). Ebbene, contro questa proteina è stato progettato un farmaco che sembra efficace, almeno in una parte dei pazienti, e sicuro.

Questo, almeno, è quanto emerge da uno studio clinico di fase 2 (quella in cui, dopo aver fatto gli accertamenti iniziali sulla sicurezza, si valuta l’efficacia di un nuovo trattamento), condotto dai gastroenterologi dell’Università Tor Vergata di Roma, e pubblicato sul New England Journal of Medicine.

Nell’ambito dello studio sono stati selezionati 166 malati, metà dei quali trattati con il nuovo farmaco anti-SMAD7, chiamato mongersen, e metà con un placebo, a diverse dosi. Il risultato è stato che almeno un malato su due (ma in specifiche condizioni quasi sette su dieci) ha reagito positivamente al farmaco, mostrando segni di remissione della malattia. Non sono emerse, inoltre, tossicità significative.

Il mongersen potrebbe quindi diventare presto una possibile alternativa alle terapie attuali, anche se resta da capire perché non sia efficace in tutti i malati, e quanto duraturo sia l’effetto.

Per arrivare all’approvazione delle autorità sanitarie, comunque, anche questo farmaco dovrà essere sperimentato su un ampio numero di pazienti (fase 3), secondo i protocolli internazionali.

 

Data ultimo aggiornamento 24 marzo 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: morbo di crohn



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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