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La cosiddetta fatigue cronica (CFS-ME) è otto volte più presente tra chi ha un Long Covid

Chi soffre di Long Covid è anche nettamente più a rischio di avere una sindrome da affaticamento cronico/encefalite mialgica o CFS/ME, la misteriosa malattia nota già prima della pandemia che, con ogni probabilità, è una manifestazione delle conseguenze a lungo termine non solo del Covid, ma anche di molte altre infezioni. 

Lo suggerisce uno studio appena pubblicato sul Journal of General Internal Medicine dai ricercatori dell’Università dello Utah di Sal Lake City aderenti all’NIH Researching COVID to Enhance Recovery (RECOVER) Consortium, che hanno attentamente analizzato la situazione di oltre 11.700 persone che erano state infettate da Sars-CoV 2 e quella di poco meno di altre 1.500 che non avevano mai contratto il Covid 19. I risultati sono stati più che chiari: tra i primi, l’incidenza di sindrome da fatigue cronica è risultata essere otto volte quella rilevata tra i controlli, e cioè 4,5%, contro 0,6%.

In generale, poi, la pandemia ha fatto esplodere il numero di casi di CFS/ME: in tutto il mondo l’incidenza è mediamente 15 volte quella che si vedeva prima. Il sintomo più comune è il cosiddetto malessere post-esercizio, una condizione che impedisce a chi ne soffre di seguire una riabilitazione fisica, perché l’esercizio, anziché migliorare, fa peggiorare i sintomi.

Infine, un altro dato che conferma la pericolosità delle prime ondate pandemiche: il rischio di CFS/ME è tanto più alto quanto peggiori sono stati i sintomi del Covid acuto, a loro volta più frequenti con le prime varianti, via via, per fortuna, rimpiazzate da altre meno aggressive e contrastate dai vaccini.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 20 gennaio 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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