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La cefalea grave nell’età adulta talvolta può essere la conseguenza di un’infanzia difficile

I traumi infantili di qualunque natura si ripercuotono, nella vita adulta, in un aumento del rischio di soffrire di cefalea, per motivi non chiari.

Il legame è emerso grazie a uno studio pubblicato su Neurology dai ricercatori della Chan School of Public Health dell’Università di Harvard, a Boston, che hanno analizzato quanto pubblicato in 28 studi che hanno coinvolto oltre 154.000 persone di 19 paesi, un terzo delle quali aveva riferito almeno un evento traumatico di qualunque tipo, ma di gravità significativa, nella propria infanzia.

Tra costoro, l’incidenza della cefalea primaria, cioè non dovuta ad altre cause note, è risultata essere del 26%, mentre tra le persone che avevano avuto un’infanzia più serena, la stessa è risultata essere del 12%. L’aumento è quindi del 48%. Interessante, poi, il rapporto tra il numero di eventi traumatici e quello di crisi di mal di testa, che è risultato essere proporzionale: più numerosi sono stati gli eventi negativi, più spesso ha colpito la cefalea. Così, tra chi ha avuto un solo trauma, l’incidenza è stata del 24%, ma tra chi ne ha subiti quattro o più (per esempio perché viveva in una condizione disagiata), il tasso è risultato doppio.

Volendo approfondire, gli autori hanno poi effettuato un altro tipo di analisi. Hanno suddiviso i traumi in due tipologie: quelli da minaccia, come gli abusi fisici, emotivi o sessuali, subiti o osservati, e i conflitti familiari, e quelli da deprivazione, per esempio per difficoltà economiche, dipendenze da alcol o droghe, incarcerazione o decesso dei genitori, divorzi conflittuali, o la presenza di persone con gravi patologie mentali o fisiche croniche in casa.

Tra le due, la peggiore è risultata la prima, probabilmente perché induce uno stato di ansia permanente, mentre la seconda è più facilmente affrontata in modo reattivo. Così, l’incidenza della cefalea tra chi ha subito una delle prime è stata infatti del 46%, contro il 35% associato alle seconde. All’apice dei traumi da minacce come fattori scatenanti, inoltre, sono risultati gli abusi fisici o sessuali subiti, che aumentano il rischio del 60%, mentre tra quelle da deprivazione un’infanzia vissuta in condizioni di abbandono, che aumenta di tre volte il rischio.

La comprensione di questi fenomeni è importante per predisporre, quando possibile, misure preventive. Quando, come accade nella maggior parte dei acsi, non lo è, resta cruciale per impostare terapie adeguate, e salvaguardare il più possibile il benessere dell’adulto che ha avuto un’infanzia problematica.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 11 dicembre 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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