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Il kimchi coreano potenzia la risposta immunitaria: i benefici della fermentazione

Il kimchi, piatto tipico coreano a base di verza fermentata con l’aggiunta di numerosi possibili altri ingredienti e abbondanti spezie, rinforza il sistema immunitario agendo specificamente su alcuni tipi di cellule. Lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista del gruppo Nature npj/Science of Food nel quale 13 persone in sovrappeso sono state invitate ad assumere uno tra tre possibili “trattamenti” in quantità paragonabili a 30 grammi di kimchi. Oltre a un controllo privo di effetto, gli altri due hanno assunto una polvere di kimchi ottenuta con una ricetta tradizionale oppure una di kimchi realizzato con un acceleratore di fermentazione detto starter (un lievito), per 12 settimane. Alla fine gli autori, ricercatori dell’Advanced Convergence Research Division del World Institute of Kimchi di Gwangju, in Corea del Sud, hanno dimostrato che, in chi aveva assunto la polvere di kimchi, ma non nel gruppo di controllo, erano aumentate le cosiddette Antigen Presenting Cells, le cellule che preparano le molecole estranee rendendole riconoscibili da parte dei linfociti T, che riescono così a eliminarle. Inoltre si era avuta un’attivazione di alcuni geni associati anch’essi a un a risposta immunitaria più efficiente. La causa è probabilmente da ricercare nell’azione sul microbiota intestinale, una delle sedi principali di formazione degli elementi del sistema immunitario, come suggerisce il fatto che anche altri alimenti fermentati quali lo yogurt, il kombucha, il miso, i crauti e il kefir abbiano un effetto simile. Tra le due forme, infine, quella più efficace è risultata essere quella con lo starter, probabilmente perché porta la fermentazione a un livello più omogeneo e avanzato.

Data la grande variabilità dell’efficacia, con il kimchi reale, che dipende dagli ingredienti e dal microbiota di chi lo mangia, non ci sono dosi specifiche consigliate, anche se 30 grammi al giorno per un certo periodo di tempo possono essere una buona approssimazione.

 

A.B.
Data ultimo aggiornamento 19 dicembre 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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