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Il metotrexate, un farmaco vecchio e molto noto, funziona bene contro l’osteoartrite

L’osteoartrite è una malattia estremamente diffusa nelle persone anziane: si stima che della forma che colpisce le mani e le articolazioni degli arti ne soffra una donna su due e un uomo su quattro dopo gli 85 anni, con gravi ripercussioni sull’autosufficienza e sulla capacità di svolgere le normali funzioni quotidiane. Ora però uno studio pubblicato su Lancet propone una terapia molto nota, in uso dagli anni ottanta, e quindi anche economica in quanto basata su un farmaco di cui da tempo è disponibile la formulazione generica: il metotrexate. Già impiegato in altre patologie infiammatorie, e in alcuni tumori, sembra in grado di ridurre sensibilmente i sintomi dell’osteoartrite, e potrebbe quindi diventare il nuovo standard di cura.

Nello studio, condotto dai reumatologi della Monash University di Melbourne, in Australia, un centinaio di pazienti con osteoartrite o sinovite (infiammazione delle membrane che avvolgono le articolazioni) sono stati trattati con 20 milligrammi di metotrexate alla settimana per sei mesi, oppure con un placebo. Alla fine, è emerso che chi era stato trattato con il farmaco ha avuto una continua diminuzione del dolore lungo tutti e sei i mesi, che ancora perdurava quando è stato interrotto lo studio, mentre chi aveva assunto il pacebo mostrata solo lievi segni di miglioramento, non presente in tutti. Inoltre, il tasso di miglioramento è stato doppio nel gruppo dei trattati rispetto a quello sottoposto al placebo. Anche se è necessario definire meglio la durata ottimale del trattamento, è possibile che il metotrexate diventi un’opzione terapeutica, e non solo per gli anziani, visto che osteoartrite e sinovite insorgono anche in persone più giovani e, non di rado, in donne che entrano in menopausa, e visto che, finora, non esistono terapie specifiche.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 19 ottobre 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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