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Cure oncologiche, troppe
disuguaglianze nei Paesi UE

di Valeria Camia

 “Donne e Cancro: oltre 12 milioni di ragioni per agire!”: con questo slogan la European Cancer Organisation (ECO) ricorda i dodici milioni di donne in Europa che attualmente stanno convivendo con il cancro. A loro si aggiungono le donne (un milione e 200mila) alle quali ogni anno viene diagnosticata questa malattia. I numeri arrivano da un rapporto elaborato e presentato recentemente a Bruxelles dalla ECO, in occasione della sua Conferenza annuale.

Le donne devono affrontare numerose sfide che il cancro presenta e che vanno anche oltre il campo medico. «Questo perché la popolazione femminile interagisce con la malattia in modi molti diversi, come cittadine che partecipano alle attività di screening, e come pazienti, incontrando ostacoli fisici, emotivi ed economici unici e legati al genere, con un forte impatto sulla loro qualità di vita» - spiega l’oncologa Isabel Rubio, presidente della European Society of Surgical Oncology e presidente-eletta della ECO (entrerà in carica nel gennaio 2026).

Nonostante l’urgenza di agire, le disuguaglianze nell’assistenza oncologica, nello screening, nel trattamento e nell’accesso complessivo alle cure sono sottovalutate (persino trascurate) a livello europeo. I dati raccolti e resi pubblici dalla European Cancer Organisation sono “impietosi”, perché mettono in luce come troppe donne in Europa non abbiano accesso, ad esempio, allo screening, ai servizi di conservazione della fertilità e alle cure oncologiche di qualità che meritano.

«Guardando alla mappa delle disuguaglianze - dice Rubio - ci sono anzitutto differenze geografiche nell’adesione ai programmi di screening. Per quanto riguarda la diagnosi precoce del cancro al seno, nel sud Europa, come in Spagna e in Italia, l’adesione è intorno al 70-75%. Altri Paesi, invece, hanno statistiche più alte. Poi ci sono nazioni che non hanno affatto programmi di screening per questo tipo di cancro. Penso alla Bulgaria e alla Romania».

Grazie al “Piano Europeo per la Lotta al Cancro” sono stati compiuti molti progressi nella prevenzione del tumore al seno, al colon-retto e alla cervice uterina. Tuttavia, i dati mostrano anche la necessità di organizzare iniziative che si focalizzino su altre forme di cancro, come quello al polmone, i tumori ginecologici e alla tiroide, dal momento che proprio quest’ultimo è il sesto tipo di cancro più comune nelle donne (mentre non figura nemmeno tra i dieci tumori più comuni negli uomini). Ad oggi non si sta facendo a sufficienza.

Continua Isabel Rubio: «Poiché la popolazione femminile è più esposta al rischio di povertà e di esclusione sociale (nell’Unione Europea questi problemi riguardano in media il 22,9% delle donne, rispetto al 20,9% degli uomini), le donne che combattono il cancro spesso si trovano a dover affrontare non solo il peso fisico ed emotivo della malattia, ma anche notevoli difficoltà e sfide finanziarie. Come ricorda il rapporto dell’ECO, le donne con cancro alla cervice uterina, ad esempio, hanno il 40% di probabilità in più di divorziare rispetto alle donne sane. Uno studio dell’autorevole rivista scientifica Lancet del 2023 indica, poi, che “le donne hanno maggiori probabilità degli uomini di rischiare una catastrofe finanziaria a causa del cancro, con gravi conseguenze per le loro famiglie, anche se è disponibile un’assistenza oncologica di qualità”. Non solo: alle donne in Europa viene chiesto maggiormente, rispetto agli uomini, di assistere familiari e parenti ammalati, anche se le loro retribuzioni orarie lorde sono in media del 12,7% inferiori a quelle degli uomini.«Soprattutto nei Paesi senza assistenza sanitaria universale - continua Isabel Rubio - i gravosi oneri finanziari medici possono spingere le donne a rinunciare a screening e trattamenti, al punto che il cancro è la principale causa di morte prematura e disabilità nel mondo soprattutto tra le donne».

A fronte di questo “panorama”, c’è ancora molto da fare: anzitutto far sì che i Paesi membri dell’UE inseriscano una politica sul cancro “a 360 gradi” tra le priorità, includendo le raccomandazioni dell’ECO. Si tratta di una sfida. «Prendiamo il caso del tumore al seno - dice Rubio. - Oggi sono state aumentate le fasce d’età per lo screening, abbracciando un periodo che va dai 45 ai 75 anni, e questo è un dato positivo. Ma tutto ciò implica anche la necessità di accrescere il numero di personale qualificato per “leggere” le mammografie. Insomma, servono più radiologi e più risorse umane, in generale; ma sono necessarie anche più risorse fisiche, mi riferisco al crescente numero di attrezzature per la mammografia. Tutto ciò può essere un problema. Similmente - continua Rubio - nel caso dello screening del cancro al colon-retto, che è uno dei tre tipi di tumori più comuni nelle donne (con quello al seno e al polmone), la prevenzione è l’opzione più economica in cui un sistema sanitario nazionale può investire, ma richiede la formazione di più professionisti sanitari in grado di eseguire la colonscopia; sono anche necessari più dispositivi per l’esame, oltre che maggiori risorse fisiche e umane».

Un problema aggiuntivo riguarda i trattamenti e le cure. Ci sono infatti legislazioni diverse nell’Unione Europea: ad esempio, mentre in alcuni Paesi un farmaco viene finanziato dallo Stato, in altri ciò non succede. Così la geografia - ovvero il luogo in cui si vive - congiuntamente allo status socio-economico e al genere possono essere fattori determinanti per la salute di ciascuna (e ciascuno).

Un approccio olistico (cioè globale) nella lotta contro il cancro è quindi fondamentale. «Dobbiamo andare oltre la malattia - conclude Rubio - e prenderci cura dell’intera persona, considerando sia gli aspetti fisici che quelli psicologici ed emotivi». 

Data ultimo aggiornamento 1 febbraio 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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