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Covid, l’OMS dice no anche
a tre anticorpi monoclonali


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di Agnese Codignola

Hanno avuto un ruolo durante le prime ondate pandemiche, quando hanno iniziato a circolare le prime varianti del virus SARS-CoV-2, ancora piuttosto simili al ceppo originale di Wuhan, assicurando miliardi di guadagni alle aziende che li avevano individuati e commercializzati (grazie anche a pazienti come Donald Trump). Ma il loro tempo, almeno in alcuni casi, è finito. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha infatti appena reso note le linee guida aggiornate sui trattamenti anti Covid, e ha posto due preparati a base di anticorpi monoclonaliGli anticorpi monoclonali sono anticorpi del tutto simili a quelli che il sistema immunitario produce contro i “nemici” (batteri, virus e altro ancora), ma non sono presenti in modo naturale nel nostro organismo. Vengono creati in laboratorio, grazie a tecniche di ingegneria genetica, e sono mirati contro un preciso bersaglio della malattia, identificato dai ricercatori: per esempio, nel caso del Covid, contro la proteina Spike, utilizzata dal coronavirus per entrare nelle cellule e infettarle. Una volta prodotti, vengono fatti moltiplicare in laboratorio, identici, in un numero grandissimo di copie, o di cloni (per questo vengono chiamati monoclonali), e poi immessi nell’organismo del paziente, in genere tramite infusione (endovena). nella categoria “against”, cioè ha espresso una raccomandazione contro, che indica che l’uso è fortemente sconsigliato. Si tratta del sotrovimab, di GlaxoSmithKline o GSK, insieme con il partner californiano Vir Biotechnology, e della miscela di casirivimab e imdevimab di Roche, diretti contro parti della proteina spike che nel frattempo sono mutate, e quindi non costituiscono più un valido bersaglio per quegli anticorpi. 

Il sotrovimab ha avuto grande successo in alcuni Paesi: in Gran Bretagna è stato tra i farmaci più venduti, generando appunto miliardi di introiti per le due aziende, ma la Food and Drug Administration (FDA, l’ente che regola la sperimentazione e la vendita dei farmaci negli Stati Uniti) lo aveva già ritirato nello scorso mese di aprile, avendo riscontrato la sua scarsissima efficacia contro i sottotipi di omicron già in febbraio. Il mix di casirivimab e imdevimab, a sua volta, è stato un top seller negli USA, ma già in gennaio aveva visto restringersi notevolmente le indicazioni da parte della FDA, che ne aveva limitato l’uso a popolazioni specifiche di pazienti e aveva già sottolineato, anche in quel caso, la modesta utilità contro omicron e le sue varianti.

Ora, come diversi esperti hanno sempre sostenuto, è sempre più chiaro che gli anticorpi monoclonali non sono lo strumento più adatto a combattere un virus, proprio a causa della loro elevatissima specificità: quando il bersaglio cambia anche di poco, la loro efficacia svanisce. Ma i virus, per loro natura, mutano continuamente. E dal momento che si tratta di prodotti costosissimi, e delicati da conservare e somministrare, il loro destino sembra segnato, anche perché molte delle scorte acquistate dai Paesi più ricchi sono rimaste inutilizzate nei frigoriferi degli ospedali, per poi essere smaltite, con grande spreco di denaro. Pertanto, i pochi che restano nelle indicazioni ufficiali, devono essere considerati come terapie di estrema urgenza, da somministrare in situazioni critiche, e come prodotti destinati a diventare inefficaci via via che emergono nuove varianti del coronavirus.

Le nuove indicazioni contengono inoltre un allargamento di uso per l’antivirale remdesivir che, pur non essendo molto efficace e dovendo essere assunto entro pochissimi giorni dalla diagnosi, ed essendo anch’esso molto costoso, ora può essere somministrato anche a chi, pur non avendo un Covid grave, è a rischio di evolvere verso situazioni peggiori (finora era destinato solo ai pazienti gravi).

Le nuove indicazioni sono state riportate in un articolo del British Medical Journal, che ha realizzato anche alcuni efficaci schemi grafici riassuntivi. Le terapie fortemente raccomandate comprendono, per chi è a rischio di ricovero o comunque forme gravi, gli antivirali nirmatrelvir, ritonavir, molnupiravir e remdesivir e, per gli altri pazienti, i farmaci che bloccano il recettore dell’interleuchina 6, protagonista delle cosiddette tempeste citochiniche, il baricitinib, una piccola molecola che inibisce la chinasi Janus, e i corticosteroidi, anche in combinazioni.

Sono invece accompagnati da una raccomandazione meno forte, e da prendere in considerazione quando, per vari motivi, non si può ricorrere ai precedenti, oltre ai corticosteroidi, le piccole molecole rixolitinib e tofacitinib (anche anti Janus). Inoltre, sono da assumere solo nell’ambito di una sperimentazione clinica il plasma dei convalescenti, l’antidepressivo fluvoxamina, l’antielmintico ivermectina e il remdesivir, in alcune situazioni. Infine, in altre il plasma è fortemente sconsigliato, così come lo sono, sempre, la colchicina, l’idrossicolorochina, i monoclonali sotrovimab e casirivimab/imdevimab (come dicevamo), il mix antivirale lopinavir/ritonavir. Per tutte queste sostanze sono presenti indicazioni specifiche sulle tipologie (per esempio dei corticosteroidi o degli anti recettore dell’IL6), sui dosaggi e sulle condizioni, così come sono indicati, quando esistenti, gli aggiornamenti rispetto alle indicazioni precedenti.

Come visto, gli Stati Uniti si sono già adeguati alle indicazioni relative ai monoclonali. Resta da capire quando lo faranno gli altri stati e le grandi agenzie regolatorie come l’EMA.

 

Data ultimo aggiornamento 22 settembre 2022
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: coronavirus, Covid-19



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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