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L’immunizzazione orale per le noccioline migliora la vita e diminuisce i disturbi

Uno studio su 40 ragazzi fortemente allergici pubblicato dalla rivista Lancet dimostra che dosi crescenti e controllate di farina di arachidi possono indurre la giusta tolleranza, con effetti collaterati minimi

di Agnese Codignola

L’allergia alle noccioline è una delle più diffuse e, nei casi più più gravi, può portare anche alla morte per shock anafilattico. Chi ne soffre è quindi costretto ad avere un’alimentazione molto controllata: le noccioline ("peanuts", arachidi) si trovano in molti alimenti industriali e perfino come contaminanti in altri cibi che sono stati lavorati in fabbriche dove questi legumi sono presenti. Da diverso tempo si cerca di capire se un’immunizzazione orale può aiutare a indurre la giusta tolleranza, e lo studio STOP II, pubblicato sulla rivista Lancet, dimostra che tutto questo può avvenire.

Gli allergologi dell’Università di Cambridge, in Gran Bretagna, hanno trattato una quarantina di ragazzi allergici gravi, di età compresa tra i 7 e i 16 anni, con una farina di noccioline data in dosi crescenti da 2 a 800 milligrammi al giorno, e altrettanti allergici con una dieta rigorosamente priva di noccioline. Dopo sei mesi, i ricercatori hanno sottoposto anche il gruppo di controllo allo stesso trattamento, verificando quanto accaduto fino ad allora. Hanno così scoperto che la desensibilizzazione era stata ottenuta dal 62% dei ragazzi trattati nella prima fase e da nessuno degli altri, e che i primi tolleravano una dose giornaliera pari a 800 milligrammi di proteine delle noccioline (equivalenti a circa 5 noccioline), che prima non avrebbero assolutamente potuto ingerire. In seguito, la dose è arrivata a una media di 1.345 milligrammi, pari a 25,5 volte quella sopportata prima dell’immunizzazione. 

La qualità di vita dei ragazzi che avevano assunto le dosi crescenti di  farina di noccioline è migliorata sensibilmente, e gli effetti collaterali sono stati minimi: qualche sintomo gastrointestinale, pruriti e difficoltà respiratorie non gravi. Dunque lo studio STOP II dimostra che questa può essere la strada gusta per rendere l’allergia alle noccioline molto meno temibile - e compatibile con una vita normale.

 

Data ultimo aggiornamento 15 novembre 2014
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: allergia, shock anafilattico



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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