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Cellule staminali estratte dalla placenta, primi test positivi per una possibile terapia

Sperimentazione al Mount Sinai Hospital di New York su 16 pazienti, che hanno mostrato una stabilizzazione dei sintomi. La nuova tecnica appare interessante, ma richiede ulteriori approfondimenti

di Agnese Codignola

Sono positivi i primi dati della sperimentazione nell’uomo di cellule staminali estratte dalla placenta, che un’équipe di ricercatori ha condotto presso il Mount Sinai Hospital di New York (Stati Uniti). I risultati sono stati pubblicati dalla rivista Multiple Sclerosis and Related Disorders.

Le cellule staminali placentari sono simili, biologicamente, a quelle chiamate stromali, che normalmente si estraggono dal tessuto connettivo attorno al midollo osseo, ma che sono poco numerose e presentano diverse difficoltà tecniche per un utilizzo terapeutico. Al contrario, le staminali ottenute dalla placenta sono molto numerose, al punto che con una sola donazione, in teoria, si potrebbero curare numerosi pazienti: di qui l’interesse a un loro impiego, e la ricerca di metodi di estrazione e purificazione che possano consentire di avere prodotti adatti all’uso terapeutico.

Con questo obiettivo, i ricercatori statunitensi hanno trattato 16 malati che presentavano le prime manifestazioni della malattia, cioè episodi isolati di crisi motorie o neurologiche, o che avevano già tutti i sintomi, di età variabile tra i 18 e i 65 anni. I neurologi hanno verificato per sei mesi l’andamento dei sintomi clinici e delle lesioni cerebrali tipiche della malattia, misurabili con la risonanza magnetica (effettuata una volta al mese). Hanno visto, così, che nessun malato trattato con le staminali (in termine tecnico, con il preparato PDA-001) mostrava segni di peggioramento delle lesioni del cervello e che, anzi, la maggior parte di loro aveva avuto una stabilizzazione dei sintomi, quando non un miglioramento.

E’ presto per pensare a una terapia contro la sclerosi multipla basata sulle staminali estratte dalla placenta, ma questi dati indicano che la strada è almeno potenzialmente percorribile perché sicura, e che merita un approfondimento. In particolare, bisognerà comprendere bene in che modo queste cellule riescono a riparare i danni alla mielina (la guaina protettiva che avvolge le fibre nervose) inferti dall’attacco degli autoanticorpi, origine della malattia. La comprensione precisa dei meccanismi d’azione è essenziale per orientare bene le capacità terapeutiche di questo tipo di staminali, riducendo al minimo i possibili effetti negativi.

Data ultimo aggiornamento 15 novembre 2014
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: cellule staminali, sclerosi multipla



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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