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Anche gli antichi egizi facevano uso di miscele di sostanze psichedeliche vegetali

Anche gli antichi egizi, e in particolare quelli dell’epoca tolemaica (IV sec. A.C. – III d. C.), quando già erano presenti i Romani, facevano uso di sostanze psichedeliche, nell’ambito di riti durante i quali utilizzavano tazze con scolpita la testa del dio Bes, protettore della fertilità, delle guarigioni, delle purificazioni, e responsabile dello scudo che teneva lontani i demoni dell’aldilà. Lo hanno scoperto i ricercatori delle Università della di Trieste e di Milano, in collaborazione con quella della Florida, grazie all’analisi dei residui del contenuto di una di queste tazze, conservata al museo di Tampa (Florida) dal 1984. Come illustrato sulla rivista del gruppo Nature Scientific Reports, le indagini, svolte con diverse tecniche, hanno permesso di individuare i residui vegetali presenti nella tazza e di scoprire che tutte le piante utilizzate (tra le quali Peganum harmalaNimphaea nouchali var. caerulea) avevano attività psicotropa, dissociativa oppure medicinale: una conferma del fatto che quelle tazze, sulle quali gli egittologi si interrogano da decenni, erano impiegate per scopi rituali. Finora, però, si ipotizzava che i liquidi contenuti fossero vino, birra o latte o acqua sacri. Ma i risultati non hanno lasciato dubbi: si trattava di un infuso di erbe allucinogene mischiato con fluidi corporei e alcol. La miscela era poi aromatizzata con miele, semi di sesamo, pinoli, liquirizia e uva, che venivano comunemente usati per far sembrare la bevanda simile al sangue. Lo scopo, scoperto attraverso la decrittazione di geroglifici e altre iscrizioni, era propiziatorio, per esempio per aumentare la fertilità e preservare la gravidanza e il parto, sempre estremamente pericolosi duemila anni fa, con riti specifici che si tenevano a Saqqara, dove esiste una Camera di Bes e dove sono state ritrovate alcune tazze. Il contatto con l’aldilà assicurato dall’alterazione di coscienza data dalle piante psichedeliche avrebbe tutelato la gestazione.

 

A.B.
Data ultimo aggiornamento 22 novembre 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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