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AIDS, sono tre le persone guarite
grazie a uno "speciale" trapianto

di Agnese Codignola

In oltre 40 anni di storia, il paziente chiamato di Düsseldorf, in Germania – un uomo di 53 anni - sarebbe solo il terzo completamente guarito dall’infezione da HIV o, al massimo, il quarto. Perché, per definizione, il virus si annida nelle cellule del sistema immunitario che, essendo indebolite proprio dalla sua presenza, non riescono a eliminarlo, anche se grazie ai farmaci lo tengono a bada. E invece, in pochissimi casi, tutti descritti dettagliatamente nella letteratura scientifica, e tutti relativi a persone che erano state sottoposte a un trapianto di midollo, il quasi miracolo è avvenuto, e ora si cerca di capire che cosa si potrebbe imparare da quelle situazioni straordinarie, per trasformare l’eccezione in regola e la malattia da incurabile a curabile.

In questo caso, il paziente era stato trattato presso l’ospedale universitario della città tedesca per l’HIV, ma in seguito aveva anche dovuto ricevere un trapianto di midollo a causa di una grave forma di tumore del sangue. Come già accaduto nei due casi precedenti, chiamati il paziente di Londra e quello di Berlino (quest’ultimo sottoposto a trapianto nel 2007 e rimasto senza traccia di virus fino al decesso, avvenuto nel 2020), il donatore era stato un soggetto sano, le cui cellule staminali contenevano però una mutazione specifica chiamata CCR5Δ32/Δ32: non esprimevano cioè il gene di una proteina dei linfociti alle quali il virus dell’HIV si attacca, chiamata CCR5 o recettore CCR5.

Lo stesso è avvenuto anche per un quarto paziente, di New York, che è senza traccia di virus da oltre 14 mesi, ma per il quale si attende ancora a dichiarare la guarigione (ritenuta assai probabile).

Proprio l’assenza di quel gene renderebbe impossibile, per il virus, entrare nei linfociti CD4+ del paziente (cioè nelle cellule in cui si trasformano le staminali trapiantate, una volta che hanno attecchito) e ciò provocherebbe la morte del virus, impossibilitato a raggiungere la sede dove può replicarsi. 

Come si legge nell’articolo che racconta la sua vicenda, pubblicato sulla rivista scientifica Nature Medicine, il paziente, che aveva bassissimi livelli di virus grazie alla terapia antiretrovirale, dopo il trapianto, resosi necessario nel 2013 per una leucemia mieloide acuta, è stato attentamente monitorato tanto dal punto di vista immunologico quanto da quello virologico, per almeno dieci anni, con sofisticati controlli nel sangue e in alcuni tessuti. In tutto questo tempo non è mai stata trovata alcuna traccia della presenza di virus attivi, ma solo qualche indizio di materiale genetico virale non replicante, oltre a qualche elemento del sistema immunitario capace di reagire, ma era impossibile stabilire se si trattasse semplicemente di cellule che avevano una memoria immunologica, o se l’organismo stesse ancora reagendo a quantità di virus minime, non rilevabili con i test. Poi, però, è arrivata la prova considerata definitiva: trapiantando cellule immunitarie del paziente in modelli animali ingegnerizzati per esprimere un sistema immunitario con caratteristiche umane, non è successo nulla. Non si è verificata alcuna infezione da virus HIV. Di conseguenza, è stato dimostrato che quei tessuti e quei fluidi non contenevano virus vivi e in grado di replicarsi. Anche grazie a questo, quattro anni fa si è deciso di interrompere la terapia antiretrovirale e, di nuovo, non è accaduto nulla. Grazie a ciò, e dopo una consultazione internazionale di esperti, si è deciso di dichiarare il paziente ufficialmente “guarito”.

Naturalmente, nessuno pensa di proporre il trapianto di midollo come terapia per l’AIDS, perché si tratta di una procedura delicata, ad alto rischio di fallimento, costosissima e che, oltretutto, in persone così debilitate come i malati di AIDS, è ancora più difficile. Ma ciò che tutti hanno fatto notare, come sottolinea Nature in un articolo dedicato al caso, è il ruolo di CCR5, oltre alla dimostrazione del fatto che, nelle opportune condizioni, dall’AIDS è possibile guarire. Per questo, alcuni gruppi stanno cercando di capire se sia possibile arrivare a una sorta di autotrapianto non molto diverso da quello che si realizza nei tumori del sangue con le CAR-T cells, cioè con linfociti geneticamente modificati affinché esprimano o non esprimano una certa molecola. Nel frattempo, il gruppo di Düsseldorf, che ha sottoposto anche altri pazienti al trapianto con cellule CCR5Δ32/Δ32, attende di capire se la lista dei “guariti” possa essere allungata.

Data ultimo aggiornamento 13 marzo 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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