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Il virus del vaiolo delle scimmie è mutato. Ma il vaccino funziona anche a dosi ridotte

Il virus del vaiolo delle scimmie, ribattezzato mpox, è mutato: ora si trasmette anche per via sessuale, nella popolazione umana. E questo è preoccupante, perché una trasmissione di questo tipo è più rapida ed efficiente rispetto a quella precedente, che avveniva per contatto diretto con le lesioni cutanee.

A fare il punto su ciò che sta accadendo in Africa, in paesi che, oltretutto, sono flagellati da guerre, cambiamenti climatici e scarsità di cibo, è Nature, che parla, in particolare, della situazione nella Repubblica Democratica del Congo.

Il virus del vaiolo delle scimmie ha iniziato a destare preoccupazione nel 2022, ma la versione mutata che sta diventando prevalente, chiamata clade 1, sembra essere più letale, e più rapida. Secondo uno degli ultimi rapporti resi pubblici, in Congo ci sarebbero oltre 240 casi sospetti e più di cento confermati, un terzo dei quali in lavoratori e lavoratrici del sesso. Tuttavia, con ogni probabilità, il numero reale è molto più alto, perché nel paese non esistono strutture per il tracciamento e le analisi sistematiche.

Il vaiolo delle scimmie, da sempre presente tra gli animali in Africa Centrale, ha causato la prima epidemia nota nel 2017, in Nigeria, con oltre 500 casi sospetti e 200 accertati. Da allora ha continuato a provocare focolai in diverse zone, fino a quando, appunto, nel 2022, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato l’emergenza globale per la diffusione di un ceppo diverso da quello attuale, chiamato clade II, che è stato responsabile di oltre 94.000 infezioni in tutto il mondo, e 180 decessi.

Nei mesi successivi la diffusione sembrava essere diminuita, ma non in Congo, dove nel solo 2023 sono stati registrati oltre 14.600 casi sospetti e 650 decessi, con focolai anche nelle zone di confine con i nove paesi contigui. Anche per questo le autorità dei paesi interessati stanno cercando di mettere a punto strategie di contrasto, ma l’organizzazione è molto complicata, come dimostra il fatto che solo il 10% dei casi sospetti è stato sottoposto a un test. 

Alcuni paesi come gli Stati Uniti e il Giappone si sono impegnati a fornire qualche migliaio di dosi di vaccino che, sebbene non sia stato sperimentato contro il clade I, quasi tutti i virologi ritengono potenzialmente efficace, e comunque utile. Ma il problema è che ne occorrerebbero milioni, e nessuno sa come fornirli e somministrali.

La buona notizia, comunicata in un congresso di microbiologia europeo svoltosi nei giorni scorsi a Barcellona, è che una sperimentazione condotta su oltre 220 persone ha mostrato che anche dosi ridotte rispetto alle attuali di quattro quinti inducono un’immunità sufficiente già dopo due settimane. E ciò significa che potrebbero essere presto disponibili molte più dosi. 

Nel frattempo, proseguono gli studi su un antivirale già in uso, attivo contro tutta la famiglia degli orthopoxvirus, cui appartiene anche mpox, perché diretto contro una proteina chiamata VP37, espressa da quasi tutti i membri della famiglia. Il tecovirimat, già approvato in Europa, sembra mostrare un’efficacia specifica, ma i dati non sono ancora sufficienti.

Per il momento, quindi, si può solo cercare di aiutare il Congo e i paesi confinanti, e tenere alta la sorveglianza e a vaccinare il maggior numero possibile di persone a rischio.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 2 maggio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


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