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Un nuovo farmaco chiamato emodepside
potrebbe eliminare le infezioni da elminti

Le parassitosi da vermi o elminti, che flagellano interi continenti come l’Africa, l’Asia e il Sud America, e che sono presenti anche nei paesi più sviluppati, al punto che si pensa colpiscano non meno di 1,5 miliardi di persone, sono molto difficili da contrastare farmacologicamente. I due farmaci più utilizzati, l’albendazolo e il mebendazolo, sono infatti poco efficaci contro alcuni di essi, tra i quali uno dei più diffusi, il Trichuris trichiura: solo il 17% di chi ne è infetto risponde a uno dei due. In più sta crescendo ovunque la resistenza a tutti i farmaci attualmente utilizzati.  

Ora però potrebbe arrivare una nuova molecola già utilizzata in veterinaria, l’emodepside, che si è rivelata estremamente efficace anche nell’uomo, grazie a uno studio dello Swiss Tropical and Public Health Institute dell’Università di Basilea e dello Ifakara Health Institute di Ifakara, in Tanzania, svoltosi appunto in Tanzania, e appena pubblicato sul New England Journal of Medicine. In esso infatti oltre 400 persone hanno accettato di farsi infettare con lo stesso Trichuris o con uno dei tre tipi di elminti più diffusi, un tricocefalo (gli altri sono gli anchilostomi e i nematodi), per essere poi trattato con l’emodepside (in dosaggi crescenti da 5 a 30 mg), l’albendazolo o un placebo (con la possibilità, alla fine del test, di passare a una delle due terapie) per 2-3 settimane. Il risultato è stato che una dose bassa, pari a 5 milligrammi, ha curato l’83% delle persone colpite da un tricocefalo mentre una di 15 mg ha curato il 100% dei pazienti, con effetti collaterali trascurabili, e lo stesso si è visto con il Trichuris, mentre l’albendazolo non ha mai superato il 20%. Nessuno dei farmaci in commercio ha mai curato la totalità dei pazienti, e per tale motivo le aspettative sono alte. Ora si procederà con la fase 3 dello studio, che coinvolgerà migliaia di pazienti, e se tutto andrà come previsto, molto presto l’emodepside potrebbe essere disponibile per tutti.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 5 giugno 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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