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Un’eredità di tutte le guerre che non fa
sconti a nessuno: l’antibioticoresistenza

Tra le conseguenze delle guerre ce n’è una che minaccia indistintamente tutta l’umanità: l’aumento vertiginoso di batteri resistenti agli antibiotici. Lo si sa fino da quando sono emerse le prime resistenze, pochissimi anni dopo l’introduzione dei primi farmaci antibatterici (subito dopo la seconda guerra mondiale), ma lo si continua a vedere ogni volta che scoppia un nuovo conflitto. Nelle ultime settimane sono stati pubblicati due studi che lo confermano, pur provenendo da due situazioni profondamente diverse: le guerre che hanno interessato per decenni l’area del Golfo Persico, e in particolare l’Iraq, e l’invasione russa dell’Ucraina.

Nel primo caso, un gruppo internazionale di ricercatori libanesi, svizzeri e statunitensi ha analizzato che cosa è accaduto dal 1980 a oggi, in merito alla segnalazione di specie resistenti. Da quegli anni in poi, infatti, si sono succeduti il conflitto Iran-Iraq (1980-1988), la prima guerra del Golfo (1991), le sanzioni economiche all’Iraq in seguito all’invasione del Kuwait (1990-2003), l’invasione degli Stati Uniti e la successiva occupazione del paese (2001-2011) e il conflitto con l’ISIS (2014-2017). Come hanno riferito sul British Medical Journal Global Health, proprio a causa dei continui conflitti, il sistema sanitario è collassato, mentre migliaia di civili e militari con traumi e ferite ideali per la colonizzazione batterica cercavano aiuto, non di rado in ospedali da campo del tutto improvvisati e precari, e mentre migliaia di persone si muovevano internamente e verso i paesi limitrofi per sfuggire alla guerra. Intanto, gli armamenti sul terreno causavano un’elevatissima contaminazione ambientale e riempivano soprattutto di metalli il terreno e le acque: piombo e mercurio, cromo e nichel, boro, rame e zinco, bario e antimonio trasformavano profondamente la composizione del suolo e delle acque, spingendo la flora batterica residente a diventare sempre più forte e insensibile. Tutto ciò ha causato un aumento di specie resistenti, anche se le informazioni sono tuttora molto carenti e lacunose. Per questo – concludono gli autori – è assolutamente urgente e prioritario saperne di più, e cercare di adottare contromisure efficaci prima che sia tardi.

Alla stessa conclusione giunge anche il secondo studio pubblicato da Eurosorveillance. Per motivi del tutto sovrapponibili, fino dalla scorsa primavera negli ospedali tedeschi hanno fatto la loro comparsa diversi ceppi resistenti, spesso provenienti da profughi ucraini (non di rado asintomatici). In particolare, è stato scoperto un ceppo di Klebsiella (batterio che causa polmoniti e infezioni del tratto urinario, e che può diventare mortale) resistente ai carbepenemi, gli antibiotici cosiddetti di ultima istanza, riservati a chi non risponde a nient’altro. I ceppi isolati hanno imparato a produrre ben due enzimi che disattivano gli antibiotici: un segnale inquietante. Per questo gli esperti chiedono che sia implementato un protocollo di screening, tale per cui una persona proveniente dall’Ucraina che debba essere ricoverata sia sottoposta a un’analisi preventiva e, nel caso abbia batteri resistenti, sia isolata, per vitare di infettare altri pazienti. Lo stesso protocollo dovrebbe essere adottato in tutti i paesi nei quali arrivano i profughi, anche se le speranza di contenere le nuove resistenze sono esigue. Il metodo migliore per prevenirle la diffusione di questi batteri, ovviamente, sarebbe arrivare alla pace, e contribuire il più possibile a ricostruire il sistema sanitario ucraino.


Data ultimo aggiornamento 17 marzo 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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