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Presto potrebbe arrivare un nuovo farmaco
contro l’artrite psoriasica, il brepocitinib

Contro l’artrite psoriasica potrebbe esserci presto un farmaco, una cosiddetta piccola molecola chiamata brepocitinib, che blocca due enzimi coinvolti nelle reazioni autoimmunitarie che scatenano la malattia, la tirosin chinasi 2 e la chinasi janus 1. Uno studio per ora di fase 2, pubblicato su Arthrithis & Rheumatology, conferma infatti che il medicinale è efficace e ben tollerato, e può quindi essere avviato alla fase finale, la 3, che coinvolge in genere molte centinaia, se non migliaia di pazienti. Nella fase 2, invece, ne sono stati arruolati 218, che sono stati suddivisi in due gruppi: uno è stato trattato con un placebo, il secondo con 10, 30 o 60 milligrammi al giorno del farmaco, che si assume per via orale. Il trattamento è durato un anno, ma le prime valutazioni sono state fatte dopo 16 settimane, in base a quanto prevedono le linee guida dell’American College of Rheumatology, per poi essere ripetute alla fine del trial. Al primo controllo, i pazienti trattati con 30 e 60 mg hanno mostrato un miglioramento significativo nella scala che valuta quanti malati riescono ad avere una diminuzione di 20 punti di un’apposita scala: le percentuali sono state infatti, rispettivamente, del 66 e del 76%, contro il 43% riscontrato nel gruppo trattato con placebo. L’efficacia è rimasta stabile per tutto l’anno, confermando ulteriormente che la molecola agisce nel tempo. Gli effetti collaterali sono stati per lo più da lievi e moderati; solo in 12 persone se ne sono riscontrati di più seri, in linea con quanto atteso per questo genere di farmaco. Naturalmente, prima del via libero delle autorità sanitarie sarà necessario condurre le fasi finali della sperimentazione, e valutare tutti i dati con scrupolo, ma se tutto andrà come si spera chi soffre di questa dolorosa patologia autoimmune, per la quale esistono già alcune terapie biologiche e non, potrebbe avere a disposizione un’arma in più per combatterla. 


Data ultimo aggiornamento 25 maggio 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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